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giovedì 13 febbraio 2020

Il capitalismo della sorveglianza

Il capitalismo della sorveglianza è un nuovo ordine economico che sfrutta l'esperienza umana come materia prima per pratiche commerciali segrete di estrazione, previsione e vendita. Significa, in modo più diretto e grossolano, che aziende come Google, Faceook, Microsoft e Twitter, all'apparenza cosi magnanime nella loro gratuità, lucrano sui dati che il loro utilizzo gli permette di raccogliere su di noi. Significa che quei dati sulle nostre vite, che forniamo in parte volontariamente e in larga parte no, sono il bene più prezioso e richiesto oggi dal mercato – il petrolio della nostra epoca.
Gli algoritmi sviluppati nella Silicon Valley se analizzano gli orari in cui facciamo più scrolling su lnstagram, il numero di profili che seguiamo, i filtri che usiamo volentieri per valorizzare le nostre foto. Misurano la lunghezza delle nostre frasi, la quantità di emoji che ci mettiamo dentro e quanto abusiamo di punti esclamativi. Di più: riconoscono le smorfie impercettibili nei nostri selfie e le esitazioni nei messaggi vocali, potrebbero perfino contare i battiti di ciglia mentre guardiamo un video di YouTube che ci appassiona o ci disgusta o c'intenerisce. Forse lo fanno. Tutti questi metadata, elaborati opportunamente, dicono di noi più di quanto saremmo in grado di spiegare a parole. Eccolo il cibo preferito del capitalismo della sorveglianza: psicologia del comportamento combinata con statistica e capacità di calcolo sempre più estese. Così non è la sostanza che viene analizzata, ma la forma. A essere scandagliato non e più il nostro conscio, tutto sommato abbastanza semplice da catturare e per noi da controllare, ma l’inconscio stesso. 
L'ambizione folle del capitalismo della sorveglianza è diventata quella di conoscere tutto di noi prima che noi stessi lo sappiamo. Il suo fine ultimo: utilizzare quella certezza su di noi, contro di noi, per manipolarci, modificarci e spingerci ad acquistare sempre di più. Quindi non è più imporre norme comportamentali come l’obbedienza o il conformismo, ma produrre un comportamento che in modo affidabile, definitivo e certo conduca ai risultati commerciali desiderati.   
Se il capitalismo di Kari Mari si cibava di forza lavoro, se la sua materia prima era la classe operaia, il capitalismo della sorveglianza si ciba “di ogni aspetto della vita umana”. E la sua materia prima siamo, semplicemente, noi: le nostre fotografie, i nostri commenti, i nostri viaggi, i nostri amici, le nostre idiosincrasie, le nostre paure, i nostri desideri, le nostre condivisioni, i nostri like. L'analogia è fertile, quindi conviene spingerla più avanti: se il capitalismo industriale ha portato alla distruzione dell'ambiente che oggi cerchiamo malamente di fronteggiare, il capitalismo della sorveglianza minaccia di distruggere niente meno che la nostra libertà.


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