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giovedì 27 ottobre 2022

Il termine Anarchia

Il termine anarkhia compare in un primo tempo (Omero, Iliade, II, 703 e 726; Erodoto, Storie, IX, 23) per designare una situazione nella quale un gruppo armato, o un esercito, si ritrova senza guida. Il significato comune del verbo arkhein era quello di prendere l’iniziativa, cominciare una battaglia o un discorso. Così arkhê designava ciò che è all’origine di una successione temporale. Aristotele lo usa in questo senso quando dice che «principio (principium traduce in latino il termine greco arkhê) si dice in primo luogo del punto di partenza del movimento della cosa» . Ma arkhê, connesso all’idea di prendere l’iniziativa, ha anche la connotazione di comando, potere o potere politico. Questo doppio significato di arkhê (inizio o origine e comando) darà come derivati: 1) arkhaios, che «risale alle origini» e che nella lingua moderna dà l’idea di antichità (archivi, archeologia, arcaico); 2) arkhein, comandare, ordinare, da cui – oltre ad arkhon, - ontos, carica ateniese di un magistrato, o arkheion, residenza dei principali magistrati – il prefisso arkhi, che indica superiorità (arcidiacono, arciduca, arciprete), e il suffisso arkhia, che indica la forma politica: monarchia, oligarchia, gerarchia, anarchia (termine che in Francia compare nel XIV secolo, ma si trova raramente prima del XVII), autarchia. L’attribuzione a qualsiasi regime politico di un potere coercitivo pare evidente o naturale come se il dominio fosse intrinseco al politico, e ancor oggi risulta evidente alla maggior parte delle persone. Questa apparente ovvietà, questo andar da sé, ha indotto a considerare il concetto di arkhê come più o meno neutro. Le cose non sono andate così per quanto riguarda il concetto di anarkhia, che è rimasto marchiato dallo stigma della disorganizzazione: senza un capo, senza qualcuno che comanda, la società si disintegra, il caos divora il sociale. Quando il termine «anarchia» si generalizza nella Francia rivoluzionaria, designerà in negativo coloro che sono accusati di creare il disordine e di promuovere la rivolta. Per la rabbia e la passione prodotte da un’oscura ambivalenza, l’anarchico è accusato di voler disorganizzare la società politica e indebolire l’autorità e attaccare il potere costituito (secondo il vocabolario: fautore di tumulti, promotore di disordini), ma al tempo stesso gli si attribuisce il nobile desiderio di estremizzare la rivoluzione, di voler livellare ruoli e fortune. Come ha scritto il girondino Brissot, che flagello per la società questa dottrina anarchica che vuole stabilire un’uguaglianza universale e di fatto!

 

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