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giovedì 6 ottobre 2011

DEATH TOWN

Il poliziotto rosicchia il mio dito rosolato e imburrato, voltandosi per nascondere il suo semplice piacere animale. Mi rendo conto che la situazione é precipitata. 
I morti costruiscono le città, le strade, le piazze. L'incontriamo in marmo, in pietra, in bronzo; questa iscrizione ci dice la loro nascita, quest'altra la loro dimora. Le piazze portano i loro nomi o quelle delle loro imprese. Il nome della strada non indica la sua posizione, la sua forma, la sua altitudine, il posto, parla solo di morti,di massacri.
La metropoli, un grande labirinto sporco e infernale, stracarico di insegne colorate, architetture strane, lampadine intermittenti, cartelloni pubblicitari, gente in tuta che corre dannatamente non solo nei parchi o nelle zone residenziali, gente di tutti i colori, gli emarginati, gli straccioni, i senza lavoro, gli affamati, le prostitute, i mendicanti sui gradini delle chiese, i pensionati sulle panchine solitarie che aspettano la morte come un treno della notte, i negri umiliati, i giovani vittime della droga, gli alcolizzati, gente con le manette ai polsi, quelli con lo braccia alzate, il suicida, l'omicida e la sua vittima, l'imputato dietro le sbarre, chi entra o esce dalla galera, il condannato che va verso il patibolo, il malato di mente, il paralitico, i gobbi e gli storpi, chi arranca con e stampelle, la ragazza sfigurata dall'incidente, la vecchia mascherata dalle rughe, l'attrice imbruttita dal tempo, gli annegati, i corpi carbonizzati, gli schiantati dai sismi, i dilaniati dalle esplosioni, la madre dell’'assassino, quella della vittima, i figli di chi ha ucciso l'amante,
gli orfani dell'amante, la ragazza violentata, il bambino percosso, quelli che ogni tanto di inverno muoiono di freddo accovacciati sulle grate che soffiano fuori l'aria calda dei sotterranei, quelli che anche d’estate non si rialzano più dalle panche di marmo fulminati dall'inedia, le maschere carnevalesche delle ragazzine di dodici anni cui la necrosi fosforica ha divorato le unghie e i capelli, gli occhi corrosi dei vetrai nei forni delle fabbriche, le laide purulenze della sifilide, i cancri sanguinolenti e succhiatori di vita, la tubercolosi, l'epatite e l' AIDS che abitano i tuguri, gli sbirri, i germi infettivi, tutto ciò che costituisce il marciume sociale, la tortura, l'’angoscia, l'usciere, il proprietario, il padrone, il giudice.
Personaggi alla ricerca disperata di successo, di denaro, di potere; i tre numi tutelari della metropoli che ha come parola d'ordine alla moda workalcoholic (alcolizzato di lavoro) drogato del proprio mestiere, della volontà di diventare qualcuno, vedi l'epopea di John Travolta in Staying Alive.
In un territorio metropolitano così frantumato e invadente, ma nello stesso tempo affascinante e surreale, l’'unico compagno reale é il suono. Un compagno fragoroso esaltante, stroncante, che impazza 24 ore su 24 fornendo una colonna sonora alla nostra vita; sirene bitonali della polizia, dei pompieri, delle ambulanze,
motori ubriachi di traffico caotico, clacson impazziti, respiro fastidioso degli impianti di aria condizionata, il bisbiglio dei venditori di droga, il vociare della malavita ingioiellata ed arrogante, i nostri passi striscianti e trasgressivi sperduti in questo inestricabile puzzle, con in testa ogni giorno un solo obbiettivo
LA SOPRAVVIVENZA.

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