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giovedì 27 ottobre 2011

Una bicicletta non è nulla ma è già qualcosa

Pedalare è sinonimo di andare via, affrancarsi dalla condizione di bipede, infrangere la legge di gravità ed entrare nel fluttuante e ritmico mondo della tubolarità. E pura magia, la meraviglia di sentire il corpo entrare in automatica, dopo aver superato la goffaggine iniziale. 
E' un atto programmato nel nostro DNA come nuotare o fare l'amore che ci aiuta a comprendere che il vero equilibrio è insito nel movimento e non nella stasi. Un atto gratuito, un'iniziazione in piena regola, con tanto di prove e perdita di sangue (le ginocchia sbucciate e le mani scartavetrate). La partecipe attenzione di un anziano che risveglia nel neofita una rinnovata confidenza con il proprio sistema neuromuscolare. Un rito accompagnato dal mantra cigolante della catena che, pedalando, viene sgranata e fatta ruotare come un rosario. Andare in bicicletta non implica alcuna stupida esibizione di potenza, non riduce brutalmente lo spazio vitale di chi ci vive accanto, non ha ricadute negative sull'ambiente, richiede solo ottimismo e sfrontato coraggio (dare le spalle alle automobili è un vero atto di fede affrontato dal nostro guerriero interiore). I popoli precolombiani usavano la ruota per i giocattoli dei loro bambini, i tibetani come mezzo di propulsione per le loro preghiere, ma la ignoravano per il trasporto di cose o di persone; la bicicletta è la splendida sintesi dei possibili usi della ruota: è insieme gioco, trasporto e preghiera.
Il magnifico scheletro esterno che permette alla razza umana di superare di gran carriera i limiti imposti dall'evoluzione biologica, cantato da Alfred Jarry, padre della patafisica e terrore delle strade della Belle Epoque. E' da sempre uno strumento fondamentale di iniziazione e di libertà, un modello insuperato di veicolo socialmente responsabile, egualitario, silenzioso e sensuale. (Avete mai portato nessuno in canna?). E' sintomatico che la due ruote, sin dalla sua comparsa, abbia goduto del favore delle minoranze creative. Anche la bicicletta ha dato vita a vere e proprie subculture fondate su uno stile di vita fuori dalle regole, sebbene a prima vista possa apparire meno esotica del surf, meno trendy dello snowboard, meno giovanilista dello skate e meno appariscente della motocicletta. Un legame, quello tra bicicletta e culture antagoniste che, con l'acuirsi della dipendenza psico-sociale nei confronti dell'automobile, non solo non si è interrotto, ma è diventato ancora più forte. Una lunga teoria di rivolta ed eccentricità semovente, che va dalle coraggiose suffragette ai mitici Bauls del Bengala, dai Vietcong sulla pista di Ho Chi Minh alla bici fatata di Albert Hoffmann, dalle bici pacifiste dei Provos a quelle imbottite di esplosivo della Rote Arme Fraktion tedesca, dagli anarcociclisti britannici ai bike messengers newyorkesi, dalla musa wahroliana Nico alla svizzera ribelle Annemarie Schwarzenbach. 
  

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