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giovedì 12 settembre 2013

La fine della gerarchia

Al periodo preistorico della raccolta del cibo succede il periodo della caccia nel corso del quale si formano i clan cercando di aumentare le loro probabilità di sopravvivenza. Una tale epoca vede costituirsi e delimitarsi delle riserve e dei terreni di caccia sfruttati a profitto del gruppo e dai quali gli stranieri restano esclusi, interdizione tanto più assoluta in quanto su di essa poggia la salvezza di tutto il clan. In modo che la libertà ottenuta grazie ad una collocazione più confortevole nell’ambiente naturale, e il tempo stesso con una protezione più efficace contro i suoi rigori, genera a sua volta la propria negazione al di fuori dei limiti fissati dal clan e costringe il gruppo a limitare la sua attività lecita organizzando i rapporti con i gruppi esclusi che costituiscono una minaccia costante. Fin dalla sua apparizione, la sopravvivenza economica socialmente costituita postula l’esistenza di limiti, di restrizioni, di diritti contraddittori. Bisogna ricordarlo come si ripete l’abc, fino ad oggi il divenire storico non ha cessato di definirsi e di definire in funzione del movimento di appropriazione privativa, dell’assunzione da parte di una classe, di un gruppo, di una casta o di un individuo, di un potere generale di sopravvivenza economico – sociale la cui forma resta complessa, a partire dalla proprietà di una terra, di un territorio, di una fabbrica, di capitali, fino all’esercizio puro del potere sugli uomini (gerarchia). Al di là dell’opposizione contro i regimi che pongono il loro paradiso in un welfare – state cibernetico, appare la necessità di estendere la lotta contro uno stato di cose fondamentale e inizialmente naturale, nel cui movimento il capitalismo non gioca che un ruolo episodico, e che non scomparirà senza che scompaiano le ultime tracce del potere gerarchizzato, o i “cinghialetti dell’umanità”, ben inteso. 

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