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giovedì 12 giugno 2014

Abbiamo bisogno di identità forti


Abbiamo bisogno di identità forti? Dobbiamo necessariamente appartenere a gruppi e conformarci alla condotta collettiva del nostro gruppo di riferimento? Le identità sono modi di disegnare circuiti di appartenenza mediante un processo di riduzione del differente al simile. Una volta che l’identità è affermata, si riconosce, infatti, per l’omogeneità di sentimenti, pratiche e valori che caratterizza i diversi individui che appartengono al gruppo. La costruzione delle identità è quindi un processo di delimitazione di un gruppo e di definizione di ciò che fa parte della sua identità. In questo processo di edificazione di aggregati sociali riconoscibili si giocano dinamiche di potere. Una prima forma di potere consiste nella selezione di quali debbono essere i valori condivisi dal gruppo. Una seconda forma risulta dalla capacità di diffondere – o imporre - le pratiche considerate accettabili per chi appartiene al gruppo. L’autorità identitaria rende omogenea la pluralità individuale e genera una contrapposizione verso l’altro.
Negli ultimi decenni l’antropologia culturale ha mostrato che le identità che ci vengono spesso presentate come naturali e inevitabili sono, in realtà, costruite e arbitrarie. Essendo culturalmente fabbricate, le identità potrebbero essere decostruite, svuotate e riconfigurate. Si possono quindi rifiutare dinamiche di appartenenza che mistificano la lettura della realtà? Ci si può svincolare dall’inconsapevole disciplinarizzazione della nostra condotta richiesta dal conformarsi all’appartenenza identitaria? Si può ma spesso non si fa. Anche in circuiti antagonisti, anche in ambienti libertari. E’ relativamente più semplice cogliere il potere, al di fuori di noi, nelle istituzioni, nel carcere, nelle fabbriche, negli ospedali, nelle caserme, nello stato; è più problematico prendere coscienza di come noi stessi riproduciamo il potere nel vissuto quotidiano. Non ci sono rimedi semplici per abbattere queste forme di potere discorsivo e sfuggevole se non la consapevolezza individuale delle dinamiche sociali, quotidianamente riprodotte e all’apparenza innocue.

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