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giovedì 5 giugno 2014

I PUGNI IN TASCA di Marco Bellocchio

Siamo nel Piacentino, in una famiglia della borghesia agraria, tarata dall’epilessia. La madre è vedova, cieca e smarrita; dei quattro figli, uno soltanto Augusto, il maggiore è sano di corpo, ma si vergogna degli altri, Sandro è epilettico, Leon è subnormale e Giulia è nevrotica. Il più pericoloso è Sandro, va soggetto a crisi frequenti, e cova una cupa violenza contro il mondo. Si sente disutile, condannato a soccombere. Per vincere il proprio complesso d’inferiorità e affermarsi con un gesto che lo convinca della propria forza di volere e quindi del proprio diritto a sopravvivere, dovrebbe intanto eliminare gli ostacoli vicini. Ove riuscisse a togliere di mezzo i più deboli, potrebbe infatti sperare di raggiungere la sicurezza di Augusto, che ha affari in città, crescere nella stima, anzi nell’amore malato, di Giulia. Nella sua puerile demenza non ha, ovviamente, il coraggio di architettare un piano, ma quando, imparata a guidare l’automobile, ha acquistato maggior fiducia in se stesso, la follia è così lucida da saper profittare dei casi fortuiti. Presentatasi l’occasione favorevole, Sandro passa infatti all’azione: spinge la madre in un burrone e affoga il fratello minore nella vasca da bagno. Se ne vanta con Giulia, e il legame morboso li stringe a coalizzarsi contro Augusto, che sta per sposare una borghese di città. Ma l’alleanza è breve e inquieta: sarà proprio Giulia, temendo che stia per venire il suo turno, a ristabilire l’ordine lasciando morire Sandro senza soccorrerlo durante una crisi.
Con I pugni in tasca, siamo coinvolti nel furore d’un giovanotto in rivolta contro tutti quei valori morali e sociali che la tradizione ha racchiuso nella famiglia. Marco Bellocchio non se la prende soltanto con la borghesia di provincia. Quest’ambiente gli serve per comodo autobiografico, per le risorse delle tinte grigie, e anche per la moda di andare a cercare in provincia l’origine di ogni vizio. In realtà egli spara a 360 gradi: è proprio l’istituto familiare che gli sembra giunto al tragico crollo, dacché continua a porsi come microcosmo dove l’individuo è costretto a trovare il principio e la fine della propria ragion d’essere. Ma Bellocchio non s’avventa solo contro la famiglia ma soprattutto contro ogni tipo di società in cui si valga nella misura in cui si è utili. È il buttare al fuoco un certo tipo di religiosità, un certo tipo d’educazione cattolica, quella dei collegi in cui il regista è cresciuto. La morte si rivela come l’evento trasformatore: rompe equilibri, rapporti di forza, per ricostruirne altri. Sandro è un ragazzo che uccide anche soltanto per la curiosità di disordinare un ordine venuto a noia e di vedere l’ordine nuovo.
Il ’68 è vicino, e la rivolta è nell’aria.   

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