La politica sospende il reale. Questa condizione è prioritaria a qualunque manifestazione del politico. Ironia dei civilizzati e delle sedicenti avanguardie delle sue lotte! La sospensione del reale non è senza scopo. La politica non è mai gratuita. Questa sospensione serve ad introdurre le norme e le convenzioni della burocrazia dominante, ad estendere i suoi controlli (attraverso i processi di politicizzazione), a dare un corpo ideologico alle sue credenze che appaiono sempre sensate in prima istanza: dalle lotte terzomondiste alla gestione dell’utero nelle donne.
La politica non è mai pratica, ma sempre pratica della politica. Essa, cioè, non è neppure l’eccezione che conferma la regola, ma la regola che conferma il gioco. In questo senso diciamo che l’oltranzismo non ha spazio che dietro di sé, diventando politica. In questa regola che conferma il gioco, infine, si denuncia un altro aspetto ancora della politica: quello di candidarsi come l’unica forma di analisi attendibile del sociale. Da questo stallo ideologico non c’è scampo. Per questo che la critica non riconosce come distinte (anche se distinguibili) le posizioni politiche assunte dalla sinistra (dal partito alle frange estreme). La critica, infatti, non è una posizione limite del politico, ma l’altra scena smascherata dal rimosso.
Nessuno può essere impunemente critico nella sfera del politico e sopravvivere tollerato dentro il proprio ceto o nella nazione di cui parla la lingua e sopporta le abitudini.
La critica non riconosce il carattere distintivo di necessità. In questo senso prosegue una tradizione che era propria delle teorie del comunismo rivoluzionario. Il tempo imperfetto sta ad indicare che la teoria rivoluzionaria classica è infettata dalle mode con le quali la realtà del dominio capitale ha sfiancato il suo stesso movimento.
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