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giovedì 6 aprile 2017

L’ATALANTE di Jean Vigo

La difficile vita dei novelli sposi Juliette e Jean a bordo dell’Atalante, chiatta sempre in movimento governata dal vecchio mozzo père Jules e da un ragazzo. Alle gioie delle nozze succedono le incomprensioni e la routine della vita quotidiana. Juliette penserà anche di fuggire, ma poi i due sposi torneranno insieme sulla loro chiatta.
Il cinema di Vigo sorprende sempre gli spettatori per la sua bellezza, il suo rigore, la singolare facilità nel dar vita a personaggi che traggono la loro profondità dal contesto sociale piuttosto che da una particolare  introspezione psicologica. Nei suoi film, l’ambiente è protagonista allo stesso modo dei personaggi. In L’Atalante la chiatta che scivola lunga e flessuosa sull’acqua è la depositaria delle vite e dei sogni dei passeggeri. Gli ancoraggi, le banchine, le sponde del canale Saint-Martin, le riprese dei treni, ferrovie e tralicci, delineano l’immagine di una Parigi dura, aggressiva, quasi sconcertante. È una città in cui il furto è nella logica delle cose, dove la gente viene linciata, dove ci si mette in fila in attesa di trovare un posto di lavoro, dove ognuno cerca un modo per fuggire.
L’Atalante che solo apparentemente si inserisce nel filone del cinema populista e realistico francese di quegli anni, è il testamento spirituale del regista; egli stesso ha rivissuto criticamente e sentimentalmente la propria esistenza infondendo nei personaggi e nell’ambiente quello spirito rivoltoso e anarchico che ha sotteso tutta la sua breve ma intensa attività. 
L’Atalante è una di quelle opere in cui il cinema si avvicina più alla poesia che al romanzo. Non succede quasi niente nel film, ma ogni immagine contiene un valore evocativo, una sensazione nuova. Un’atmosfera di angoscia e di disperazione, creata con strumenti semplicissimi, avvolge ogni inquadratura. Vi si sentono sincerità, pietà, forse anche una specie di sorda rivolta. Ma, di certo non è un film spettacolare. Lascia in ognuno un’impressione di malessere e svia talvolta lo spettatore per il disprezzo delle abituali convenzioni cinematografiche.
Magico punto d’incontro tra le esperienze avanguardistiche e il cinema sociale, all’epoca subì un clamoroso insuccesso commerciale che, insieme alla improvvisa morte del giovanissimo autore ne impedì la visione integrale per decenni. Jean Vigo con questo film rompe violentemente con la tradizione realista del cinema francese per privilegiare un approccio totalmente poetico e con qualche lampo . Da ricordare il fondamentale apporto dell’operatore Boris Kauffmann, fratello di Dziga Vertov.

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