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giovedì 21 settembre 2017

L’arte come negazione


Nel 1916 Zurigo, al centro di un paese non direttamente coinvolto da una guerra nel pieno del suo orrore, era divenuta punto di confluenza di eterogenei personaggi: dagli emigrati e rifugiati politici, agli affaristi di pochi scrupoli, dai disertori agli agenti segreti.
Fu Hugo Ball in quell'anno a fondare il Cabaret Voltaire e ad attrarre, con la sua personalità ed il suo idealismo, un gruppo di artisti e letterati, tra cui Tristan Tzara, Hans Arp, Marcel Janco e Hans Richter, che all'Osteria Meierei, tra una birra e un würtschen, declamavano versi e canzoni intercalate da urla e singhiozzi, accompagnandosi con campanacci, tamburi e scudisci: “…guardate i fiumi di paraffina / che sgorgano dai corni della luna / guardate l'orizzonte marino / che legge il giornale e si mangia la bistecca / vedete la carie sokobauno / vedete la placenta come grida nelle reti
di farfalle…” Il gruppo era unito dalla volontà di guardare il mondo con occhi nuovi: stanco dalle barbarie del conflitto, ma soprattutto colpito dalla perdita dei valori più profondi dell'umanità, diede voce ad un sentimento di rivolta che usò la trasgressione e lo scandalo come strumenti privilegiati di espressione; nauseato dalla facile propaganda si scagliò contro tutti i valori negativi incarnati dalla classe militare e da quella borghese. Ma la provocazione Dada non fu mai gratuita o fine a se stessa, rispose bensì ad una profonda esigenza di libertà: per impedire lo sviluppo di nuovi errori ed orrori bisognava fare tabula rasa del passato, della storia, di miti e di eroi; la “vecchia” arte che, come le ideologie, poteva venir manovrata e mistificata, era considerata anch'essa portatrice dei germi da cui si sarebbero sviluppati nuovi conflitti, nuova corruzione, altra decadenza.
Incerta è la paternità del nome Dada: derivato dal sillabare di un bambino assorto nel gioco, casualmente preso sfogliando un vocabolario o, se dobbiamo dar retta alla “testimonianza” di Arp, scelto da Tzara: “Intendo così dichiarare che Tzara inventò la parola Dada il 6 febbraio 1916 alle sei del pomeriggio. Io ero là con i miei dodici figli, allorchè Tzara pronunciò per la prima volta questa parola… questo accadeva nel Café de la Terasse a Zurigo, e io mi stavo infilando una brioche nella narice sinistra”.
Il Dadaismo, assorbendo e rielaborando le esperienze delle precedenti avanguardie, è riuscito a porre in atto quella rivoluzione che ha condotto l'arte al punto di non ritorno: ha smantellato la gerarchia compartimentale rifiutando le obsolete classificazioni estetiche e ha messo in crisi il sistema con le sue azioni di disturbo; ha privilegiato il caso e la spontaneità espressiva, traendo ispirazione dal quotidiano e dall'oggetto comune; ha superato la visione individualistico - romantica della figura d'artista e spezzato la spirale di opera/merce/ricchezza/potere. Dada ha assottigliato la frattura tra l'arte e la vita.

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