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giovedì 7 settembre 2017

Rifiutare il pane del profitto

La felicità è una totalità armonica verso la quale si tende o che si nega in un crescendo snaturato, come appunto si sta facendo. Siamo in un aut-aut della specie. Non solo le grandi ma persino le piccole cose della vita hanno ormai il sapore del lusso: i frutti biologici, il pane biologico.
Chi avrebbe mai immaginato ancora qualche decennio fa che potesse esistere un pane non biologico? il pane c'era o non c'era, ma era biologico per natura. Oggi è la natura che ci manca più del pane.
La moltiplicazione dei pesci al mercurio spingerà la nostra intelligenza sensibile verso il pane del vita? Nessuno Dio farà questo miracolo al nostro posto. Prima che sia troppo tardi dovremo rifiutare il pane del profitto, fatto di farine sintetiche che alterano il bios globale e quello umano in particolare. L'effimero odore di un pane industriale, il cui gusto svanisce un ora dopo la cottura, misura come un termometro quotidiano il tasso di alienazione di una civiltà malata.
Dobbiamo curarci se vogliamo guarire; ricominciare a godere e smettere di inseguire una felicità fittizia, misurabile soltanto con i parametri mal fondati di una ricchezza virtuale.
Come avevano profetizzato quegli indigeni d'America a cui abbiamo riservato in arte prima la sorte che si prospetta per tutti, ci stiamo accorgendo che non si può mangiare il denaro, respirarlo, farci l'amore, metterlo in musica. Si può solo continuare a prostituirsi,  ricevendo ogni mese un salario sempre più precario che è ormai diventato quello della paura. E che spendiamo per acquistare merci che evocano amore sensuale ridotto a sesso, arte culinaria ridotto a cibo per gatti, aria pura che si misura in tasso di smog e melodie che non hanno più niente di celestiale perché nascono solo per far vendere milioni di dischi.
L'umanità ha solo di risvegliarsi dall'incubo delle cose che la dominano per ritrovare la propria coscienza orgastica che è la sola coscienza concreta dell'emancipazione umana.

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