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giovedì 5 settembre 2019

EASY RIDER di Dennis Hopper

Il film ci racconta la storia di due capelloni, l'uno soprannominato «Capitano America» l'altro Billy, che con i soldini messi insieme vendendo la droga decidono, inforcati certi loro possenti trabiccoli a motore, di lasciare Los  Angeles e andare a trascorrere il carnevale a New Orleans. Il viaggio è lungo e avventuroso, ma proprio per questo i due l'hanno intrapreso; per sentirsi giovani e liberi, e scoprire il mondo. Infatti son presto accontentati: respinti dagli albergatori, i quali diffidano della loro tenuta e di quella pessima carta di credito che è la loro rombante, minacciosa motocicletta, sono costretti a passare la notte all'addiaccio, e gli incontri divengono presto bizzarri. Da bravi altruisti quali sono nonostante il gran consumo di marijuana, hanno offerto un passaggio a un autostoppista: eccoli, per cominciare, insieme a lui, in un accampamento di hippie misticheggianti. Un'esperienza che li conforta nel rifiuto della civiltà borghese, ma non li distoglie dal proseguire, dopo una breve sosta con quei bravi ragazzi. Accodatisi a un corteo, finiscono in galera, e qui conoscono un coetaneo alcolizzato, che li aiuta a uscire dal carcere e in cambio ottiene  d'essere iniziato ai piaceri della droga e di unirsi a loro per il resto del viaggio. Mal gliene incoglie, perché nottetempo muore  bastonato da un gruppetto di sconosciuti, simbolo dei benpensanti che si difendono, uccidendo i ribelli, dalla paura della libertà. Arrivati a New  Orleans, i superstiti visitano un bordello di lusso, sfilano con i carri mascherati, e insieme a due ragazze finiscono col drogarsi in un cimitero. Chiusa la cupa cerimonia, costellata
di gemiti e di giaculatorie, decidono di tornarsene a casa.
Senonché, lungo il viaggio, un automobilista sconosciuto li
prende a fucilate e li ammazza. Con questo si vuol dimostrare come ormai l'America, colpita da isterismo inguaribile, abbia minato la statua della libertà, e identifichi l'odio per i giovani col disprezzo della fantasia.

Per comprendere al meglio la forza sovversiva dell’immaginario di Easy Rider dobbiamo però rileggere il contesto di quell’epoca. Siamo nel 1969 e gli Stati Uniti si trovano in uno dei periodi più bui della propria storia’, iniziato qualche anno prima con l’omicidio di John Fitzgerald Kennedy: da una parte la guerra del Vietnam è arrivata alla massima escalation di violenza (proprio quell’anno la presenza americana raggiunse il picco storico di 550.000 soldati), dall’altra le tensioni interne esplodono in un cortocircuito che è sì razziale e sociale, ma anche e soprattutto generazionale. In quell’anno, Dennis Hopper e Peter Fonda diedero vita, anima e corpo, a una delle opere
più profonde e genuine sulla libertà, sulla sua essenza più autentica. Easy Rider non è solo un inno disincantato e rabbioso di un'era, ma un caposaldo assoluto per una generazione, o per chi, figlio o soltanto nipote di essa, vi senta ancora di appartenergli. Una ribellione nella società americana del tempo incentrata su dogmi e regole morali che tendevano a evitare, o meglio ostracizzare con ogni mezzo possibile, qualsiasi alito di "stravaganza" per via di un'ottusa paura del diverso, che essa possa essere identificata nel razzismo o in un diktat religioso impresso negli ambienti clericali. Considerato da molti datato, citato più volte come la pellicola simbolo della hippy generation, Easy Rider non è mai stato troppo amato dalla critica, che spesso si è più volte limitata ad analizzare il contenuto nei minimi dettagli, senza comprendere veramente il messaggio e la qualità di una storia attuale e fruibile da chiunque si senta libero di pensiero
e di vivere la vita come meglio crede. Diretto e critico, ma abilmente astuto nel suo finto immobilismo, atto d'accusa contro l'universo dei benpensanti, la pellicola di Dennis Hopper è un emblema di tutte libertà, incluse quelle di scegliere il proprio destino, senza esprimere giudizi di sorta sulle gesta altrui finché esse non intaccano il quieto vivere. Infarcito di frasi ad effetto, ma quanto mai condivisibili, sul puro valore dell'indipendenza di pensiero, Easy Rider è un vibrante urlo di pacifismo e di protesta contro l'assoggettarsi a voleri comuni e incanalati in cieche dighe mentali, un'idilliaca utopia di concetti genuini ma dalla difficile realizzazione. Più memorabile per il suo spirito, che per la mera realizzazione tecnica, senza dubbio meritevole ma non indimenticabile, è come guardare in uno specchio che mostra le brutture e le violenze, psicologiche e materiali, dell'umanità alle prese con le proprie paure e insicurezze, mascherate da presunta "saggezza morale". I sogni possono essere spezzati o infranti, ma non sono mai destinati a morire finché qualcuno avrà ancora la voglia di afferrarne un pugno. Rincorrerli sempre, contro il vento sferzante della vita.
E poi c’è forse l’innovazione più iconica di tutte: l’utilizzo della colonna sonora. Easy Rider è stato uno dei primi film della storia del cinema moderna a fare interamente uso di musiche “non originali”, ovvero non scritte appositamente per la pellicola.

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