L'ispirazione veniva dagli scontri e dagli atti di violenza già sperimentati su scala minore dai gruppi della destra estrema il mese precedente, il giorno dei funerali a Milano dell'agente Annarumma.
La mattina del 15 dicembre i funerali delle vittime si svolgono in una piazza del Duomo che fin dalle prime ore del mattino è presidiata da centinaia di operai ed è gremita da una folla vigile anche nelle strade adiacenti. In una giornata fredda e cupa, quattordici bare sfilano tra le immense ali di una folla attenta, tesa, in un silenzio impressionante e composto, quasi minaccioso — allora non si applaudivano i morti. Quelle migliaia di donne e uomini che secondo i piani sarebbero dovute restare chiuse in casa tremanti di paura sono tutte lì, nessuno le ha convocate, non c'è un cartello, un manifesto, ciascuno è venuto di sua iniziativa ed è come se una coscienza collettiva avesse avvertito il pericolo e si fosse stretta alle vittime, per dimostrare che esiste una risposta democratica che non ha paura, che ha colto il messaggio provocatorio della strage e che non intende accettare soprusi. Non è retorica affermare che fu quella folla imponente e muta, quel popolo democratico, che salvò quel giorno questo paese, quando già era sulla soglia del baratro.
Secondo una versione ormai accreditata vi erano, tra i fautori del colpo di stato appoggiato dagli Usa, il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat (Psdi) e gli uomini a lui vicini, la destra democristiana dell'allora presidente del Consiglio Mariano Rumor e tutte le componenti più o meno dichiaratamente fasciste, altri erano più possibilisti mentre era contraria la corrente Dc dell'on. Moro, che fin dai tempi del suo primo governo con i socialisti, nel 1963, perseguiva un'ipotesi di centro-sinistra. L'ala dura era la più consistente e si riteneva in grado di imporre le proprie scelte. Ma fu di fronte a quel silenzio agghiacciante, a quella inattesa dimostrazione di coesione e fermezza da parte della popolazione milanese nel giorno dei funerali, accompagnata anche da una esplicita esibizione di forza da parte dei servizi
d'ordine e dei presidi che quel giorno partiti, sindacati e movimenti di sinistra avevano predisposto — il golpe era nell'aria — che venne a più miti consigli la componente golpista. Fu lo stesso Presidente del Consiglio Mariano Rumor, che a Milano assistette ai funerali, a rimanere turbato e intimorito dalla forza di quella manifestazione che si dissociò dal piano, non consentendo al presidente Saragat di dichiarare lo stato di crisi, sciogliere le camere e mettere in atto il progettato "golpe istituzionale". Si tenga anche presente che il quotidiano inglese «The Observer», di fatto portavoce del governo di Sua Maestà, aveva pubblicato già il 7 dicembre un documento che attestava intese tra i colonnelli greci ed esponenti politici e militari italiani e il 17 dicembre, quattro giorni dopo la strage, indirizzerà esplicitamente le sue accuse alla destra e ai servizi, con un editoriale che denunciava il piano eversivo come una "strategy of tension", impiegando per la prima volta quella definizione destinata a entrare nella storia. Il documento, palesemente opera dell'intelligent britannica dimostra una spaccatura strategica sull'Italia tra i servizi segreti americani e quelli inglesi.
Lo stesso 17 dicembre il SID, il servizio segreto militare, aveva ricevuto dal suo raggruppamento di Roma un comunicato in cui si indirizzavano esplicitamente i sospetti verso un'agenzia d'oltralpe chiamata "Aginter Presse", organizzazione fascista guidata da tale Yves Guérin Sérac (al secolo Yves Guillou). Quel documento, che avrebbe potuto allora cambiare il corso degli eventi, sarà nascosto alla magistratura che ne verrà a conoscenza solo nel marzo 1973.
(Tratto da Pinelli la finestra è ancora aperta Gabriele Fuga - Enrico Maltini)
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