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domenica 15 dicembre 2019

PIAZZA FONTANA Cinquant’anni fa - L’ultimo viaggio di Giuseppe Pinelli

Arrivato in via Scaldasole, Pinelli trova Ardau. Ma non è solo. Ci sono anche tre poliziotti. Li guida il commissario della squadra politica, Luigi Calabresi. «Ah, bene, sei qui anche tu», dice Calabresi a Pinelli, «vieni in questura, puoi seguirci con il tuo motorino». Ardau viene fatto salire sulla macchina della polizia. Durante il percorso Calabresi dice ad Ardau: «C’è una sicura matrice anarchica negli attentati». Poi chiede notizie di «quel pazzo criminale di Valpreda». E aggiunge: «Voi due siete due bravi ragazzi,ma dovete riconoscere che tipi loschi come quel pazzo di Valpreda con il suo codazzo di ragazzini, con la loro esaltazione criminale ci costringono a prendere seri provvedimenti che si ritorcono anche contro di voi, perché ora non possiamo più tollerare ciò che in passato abbiamo fin troppo tollerato. Dovete rendervi conto che ci sono stati quattordici morti e non venite a raccontare, tu o altri, che sono stati i fascisti. Questa è roba da anarchici, non c’è ombra di dubbio. E voi dovete aiutarci a trovarli e fermarli prima che possano uccidere ancora».
Questo è quanto Ardau ricorda di quel colloquio. Intanto Pinelli li segue. È il suo penultimo viaggio. Quello definitivo sarà da una finestra del quarto piano della questura di Milano in via Fatebenefratelli.
L’ultimo interrogatorio di Pinelli si svolge nella stanza di Calabresi, che sostiene di essere uscito poco prima di mezzanotte per informare dell’andamento dei colloqui i suoi superiori. 
È la mezzanotte del 15 dicembre, il cronista dell’«Unità», Aldo Palumbo, ha lasciato la sala stampa della questura. È nel cortile quando sente un tonfo seguito da altri due. Qualcosa che sbatte contro i cornicioni dei vari piani. Accorre, vede un uomo per terra nell’aiuola. Corre a chiamare agenti e colleghi. È mezzanotte? Manca ancora qualche minuto? È già iniziato il 16 dicembre? Altro quesito irrisolto. L’ora esatta della caduta di Pinelli diventerà un altro tormentone in questa storia tormentata. Dalla questura è partita una richiesta di  ambulanza prima che Pinelli cadesse o dopo? Mistero. Che pretende di risolvere Gerardo D’Ambrosio con la sua famosa sentenza del «malore attivo», che manda tutti assolti, ma riabilita pienamente Pinelli. Scrive D’ambrosio: «Pinelli accende la sigaretta che gli offre Mainardi. L’aria della stanza è greve, insopportabile. Apre il balcone, si avvicina alla ringhiera per respirare una boccata d’aria fresca, una improvvisa vertigine, un atto di difesa in direzione sbagliata, il corpo ruota sulla ringhiera e precipita nel vuoto». Tutto qui. D’Ambrosio non tiene in considerazione le enormi contraddizioni in cui sono caduti i poliziotti. Secondo loro Pinelli si è gettato dalla finestra gridando: «È la fine dell’anarchia ». I poliziotti accorrono per fermarlo, scossi dal suo grido. Panessa afferma di essere riuscito ad afferrare Pinelli, rimanendo con una scarpa in mano. Ma i giornalisti accorsi vicino al moribondo lo vedono con tutte e due le scarpe ai piedi. 
Poco dopo l’una del 16 dicembre alcuni giornalisti bussano alla porta di casa dei Pinelli, la moglie viene informata che suo marito è caduto dalla finestra. Lei telefona a Calabresi: «Perché non mi avete avvertito?». Risposta del commissario: «Non avevamo il tempo, abbiamo molte altre cose da fare...». 
Nel frattempo Pinelli è stato trasportato al pronto soccorso dell’ospedale Fatebenefratelli. Lì è arrivata la giornalista Camilla Cederna con i colleghi Corrado Stajano e Giampaolo Pansa. Cederna riesce a parlare con il medico di turno, Nazzareno Fiorenzano: «Niente più attività cardiaca apprezzabile, polso assente, lesioni addominali paurose, una serie di tagli alla testa. Abbiamo tentato di tutto, ma non c’è niente da fare, durerà poco».


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