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giovedì 12 dicembre 2019

PIAZZA FONTANA cinquant'anni fa - Dodici dicembre 1969

Dodici dicembre 1969, mancano tredici giorni a Natale. È quasi sera ma Milano è illuminata a giorno. I grandi magazzini sono sfavillanti. Le compere e gli acquisti. Le luminarie addobbano il centro. Migliaia di persone stipate in pochi metri tra corso Vittorio Emanuele, piazza Duomo e piazza San Babila vanno su e giù, osservano le vetrine. Ci sono gli zampognari e i venditori di caldarroste. Ai bar del Barba e Haiti servono espressi in continuazione, cinquanta lire a tazza. La gente transita nei pressi del Teatro alla Scala. Quella sera rappresentano “Il barbiere di Siviglia”. C’è ressa davanti al Rivoli per “Un uomo da marciapiede” e all’Excelsior per “Nell’anno del Signore”. Il freddo entra nelle ossa. Tutti noi italiani ci sentiamo felici, immortali, allegri, innocenti.
A un tratto un forte e dirompente boato rompe quella strana ubriacatura invernale. Giunge dalla Banca Nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana. Diciassette morti, ottantotto feriti.
Alle 16.37 siamo già vecchi. 
Un’altra bomba viene collocata nella sede della Banca Commerciale di Milano. Possiede le stesse caratteristiche della prima ma non scoppia. Altri ordigni vengono piazzati nel passaggio sotterraneo della Banca Nazionale del Lavoro a Roma. Tredici feriti. Bombe di elevata potenza colpiscono l’Altare della Patria e l’ingresso del Museo del Risorgimento a Roma. Quattro feriti. Gli inquirenti indirizzano le indagini verso gli anarchici. Ottanta fermati e arrestati.
Tra loro ci sono il ferroviere Giuseppe Pinelli e il ballerino Pietro Valpreda.
La notte tra il 15 e il 16 dicembre 1969, Pino Pinelli cade dal quarto piano della Questura di Milano durante un interrogatorio.
Anni dopo i giudici scriveranno che Pinelli fu colpito da un malore attivo.
Valpreda viene rinchiuso in carcere fino al 1972. Innocente.
La pista anarchica viene suggerita e orchestrata dall’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno per depistare le inchieste.
Passano gli anni e la magistratura imbocca la pista giusta. Le valigette che contengono l’esplosivo del ’69 sono state acquistate da Franco Freda e Giovanni Ventura, fascisti di Padova.
Emerge un piano che deve sfociare in un tentativo di colpo di Stato militare.
(Tratto dalla prefazione “Attentato Imminente” di Daniele Bianchessi)


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