1789
Gli stati generali francesi si proclamano assemblea costituente e danno il via al processo rivoluzionario che porterà all'eliminazione della monarchia (1793) e al configurarsi politico-giuridico del potere della borghesia come classe egemone. Nell'aprile 1790, al posto dei distretti vengono create 48 sezioni, i cui rappresentanti formano l'assemblea generale della Comune di Parigi. Le sezioni adottano il suffragio universale, esercitano poteri di polizia e funzioni economiche. Il 10 agosto 1792 la prima Comune di Parigi è rovesciata dai giacobini, e trasformata in strumento del Terrore nel 1793. Dopo la morte di Robespierre le sezioni perdono ogni funzione. L'ex prete Jacques Roux, l'operaio della periferia parigina Jean Varlet e la bella attrice Claire Lacombe con le Repubblicane Rivoluzionarie guidano l'opposizione anarcheggiante al terrore di Stato: sono gli Enragés che Robespierre ben presto perseguita. Roux si uccide per sfuggire alla ghigliottina. Varlet, imprigionato, dichiara: “Dal re al comitato: abbiamo solo cambiato vestito”.
1792
Mary Wollstonecraft pubblica A Vindication of the rights of women, la prima opera femminista moderna.
1793
Esce a Londra Enquiry concerning political justice di William Godwin, ex pastore dissenter (dissenziente). L'opera, considerata la prima teorizzazione dei principi libertari, affronta l'educazione e lo stato politico dei cittadini. Godwin riprende idee di Rousseau e più in generale della rivoluzione francese, ma ne accentua gli aspetti volontaristici: attribuisce pertanto all'educazione il ruolo fondamentale per il superamento della superstizione e dell'autoritarismo. Da un cristianesimo che vede nel Cristo una figura storica e morale si giunge a un ateismo inteso come religione dell'uomo. La storia di William Godwin affonda le sue radici in un campo tipicamente inglese e significativamente anti-autoritario. Era nato a Wisbeach, nella contea di Cambridge, il 3 marzo 1756. Suo padre era un pastore dissenziente: apparteneva a una setta religiosa che esaltava, assieme al perfezionismo dell'individuo, un fiero rigore morale. Anche William fu avviato alla carriera del pastore e frequentò scuole confessionali; fra il 1773 e il 1777 fu allievo di una famosa accademia dissenting a Hoxton; nel 1778, ordinato ministro di culto, cominciò a predicare in piccole comunità di dissenters nelle contee dell'Inghilterra meridionale. Ma ben presto i limiti della prassi religiosa tradizionale si fecero sentire, e la crisi condusse Godwin a rompere con la chiesa nel 1783. L'ex pastore approfondisce i problemi della presenza dell'uomo sulla terra, il significato della vita, della filosofia, della letteratura. Studia e scrive, “L'anima dell'uomo è pura alla nascita” afferma la dottrina “eretica” sociniana, che nega la divinità di Gesù Cristo. La crisi religiosa s'intreccia in Godwin con una problematica dell'uomo, sono cinque anni di travaglio interiore, di letture, di confronti. William ne esce redento: si allontana definitivamente dal cristianesimo, scopre l'ateismo, questa religione dell'uomo, che successivamente integrerà in una sorta di panteismo. Generico, perché l'energia intellettuale di Godwin è volta altrove. Non è la “religione” che lo interessa, ora, bensì l'ingiusta società “umana”.
Bodo’s Project è un progetto di comunicazione “altra” per la creazione e la circolazione di scritti, foto e di video geneticamente sovversivi. La critica radicale per azzerare la società della merce; la decrescita, il primitivismo, la solidarietà per contrastare ogni forma di privatizzazione iniziando dall’acqua. Il piacere e la gioia di costruire una società dove tutti siano liberi ed uguali.
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giovedì 27 agosto 2020
La vita come vogliamo che sia
Dipende solo da noi diventare gli inventori della nostra vita.
La chiave di svolta è in ciascuno. Non ci sono istruzioni per l’uso. Quando avete scelto di non riferirvi che a voi stessi, riderete al riferimento a un nome – il nostro, il vostro – a un giudizio, a una categoria, cesserete di imparentarvi a quella gente a cui il rimpianto astioso per non aver partecipato a un movimento della storia impedisce ancora di inventarsi una vita per se stessi.
Quanta energia gettata in questa vera fatica che è vivere in virtù degli altri, quando sarebbe sufficiente applicarla, per amore di sé, al compimento dell’essere incompiuto, del bambino chiuso dentro di noi.
A forza di snaturare ciò che pareva ancora naturale, la storia della merce tocca il punto dove bisogna deperire con essa, o ricreare una natura, una umanità totali. Sotto l’inversione dove il morto mangia il vivo, il soprassalto dell’autenticità abbozza una società dove il piacere va da se.
Il nostro godimento implica così la fine del lavoro, della costrizione, dello scambio, dell’intellettualità, del senso di colpa, della volontà di potenza. Non vediamo alcuna giustificazione se non economica alla sofferenza, alla separazione, agli imperativi, ai rimproveri, al potere. Nella nostra lotta per l’autonomia, c’è la lotta dei proletari contro la loro proletarizzazione crescente, la lotta degli individui contro la dittatura onnipresente della merce. L’irruzione della vita ha aperto la breccia nella vostra civilizzazione di morte.
La chiave di svolta è in ciascuno. Non ci sono istruzioni per l’uso. Quando avete scelto di non riferirvi che a voi stessi, riderete al riferimento a un nome – il nostro, il vostro – a un giudizio, a una categoria, cesserete di imparentarvi a quella gente a cui il rimpianto astioso per non aver partecipato a un movimento della storia impedisce ancora di inventarsi una vita per se stessi.
Quanta energia gettata in questa vera fatica che è vivere in virtù degli altri, quando sarebbe sufficiente applicarla, per amore di sé, al compimento dell’essere incompiuto, del bambino chiuso dentro di noi.
A forza di snaturare ciò che pareva ancora naturale, la storia della merce tocca il punto dove bisogna deperire con essa, o ricreare una natura, una umanità totali. Sotto l’inversione dove il morto mangia il vivo, il soprassalto dell’autenticità abbozza una società dove il piacere va da se.
Il nostro godimento implica così la fine del lavoro, della costrizione, dello scambio, dell’intellettualità, del senso di colpa, della volontà di potenza. Non vediamo alcuna giustificazione se non economica alla sofferenza, alla separazione, agli imperativi, ai rimproveri, al potere. Nella nostra lotta per l’autonomia, c’è la lotta dei proletari contro la loro proletarizzazione crescente, la lotta degli individui contro la dittatura onnipresente della merce. L’irruzione della vita ha aperto la breccia nella vostra civilizzazione di morte.
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Si avvicina il tempo di quando la tua vita sarà gestita da un computer
La continua evoluzione dei sistemi informatici, fa suonare un campanello di allarme, in quanto contiene una chiara previsione del fatto che le macchine che scimmiottano gli esseri umani tendono ad infiltrarsi in ogni aspetto della vita delle persone e le costringono a comportarsi come macchine, I nuovi dispositivi elettronici hanno in verità il potere di costringere le persone a “comunicare” con essi e con gli altri esseri umani nei termini dettati dalla macchina stessa. Ciò che strutturalmente non rientra nella logica della macchina viene filtrato, e in pratica scompare da una cultura dominata dal loro uso.
Il comportamento meccanico degli esseri umani incatenati all'elettronica corrisponde ad un deterioramento del loro benessere e della loro dignità, a lungo andare insopportabile per la maggior parte di essi. Le osservazioni sulla nocività degli ambienti elettronicamente programmati dimostrano che in essi le persone diventano indolenti, impotenti, narcisisti, e apolitiche. Il processo politico si deteriora perché la gente diviene incapace di governarsi e chiede di essere gestita.
La gestione elettronica della società è questione di ecologia politica. I dispositivi di gestione elettronica devono essere considerati come mutamento tecnico dell'ambiente umano che per essere innocuo deve essere affrontato in termini politici non solo tecnici. Non dobbiamo dimenticare che i dispositivi elettronici, i computer sono risorse produttive e in quanto tali necessitano di un regime di polizia, che sarà presente in forme sempre maggiori e in forme sempre più sottili.
Il comportamento meccanico degli esseri umani incatenati all'elettronica corrisponde ad un deterioramento del loro benessere e della loro dignità, a lungo andare insopportabile per la maggior parte di essi. Le osservazioni sulla nocività degli ambienti elettronicamente programmati dimostrano che in essi le persone diventano indolenti, impotenti, narcisisti, e apolitiche. Il processo politico si deteriora perché la gente diviene incapace di governarsi e chiede di essere gestita.
La gestione elettronica della società è questione di ecologia politica. I dispositivi di gestione elettronica devono essere considerati come mutamento tecnico dell'ambiente umano che per essere innocuo deve essere affrontato in termini politici non solo tecnici. Non dobbiamo dimenticare che i dispositivi elettronici, i computer sono risorse produttive e in quanto tali necessitano di un regime di polizia, che sarà presente in forme sempre maggiori e in forme sempre più sottili.
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giovedì 20 agosto 2020
Alle origini dell'anarchia parte terza
Diderot pubblica De l'interprétation de la nature, in cui si esprime la polemica contro la civilizzazione dell'uomo che ha prodotto soltanto infelicità e schiavitù: “Diffidate da colui che vuole mettere ordine” è l'ammonimento libertario lanciato da Diderot in Supplément au voyage de Bougainville (1772): il “selvaggio” si corrompe nello “stato civile”.
1754
Esce a Parigi il Discours sur l’origine de l’inégalité parmi les hommes del ginevrino Jean Jacques Rousseau, testo fondamentale della critica della società come fonte di corruzione dell'uomo perché sostituisce all'uguaglianza primitiva un ordine sociale fondato sulla disuguaglianza, l'oppressione e l'infelicità. Rousseau, il quale successivamente preconizzerà certe forme del moderno stato ascetico-borghese che si esprimerà in Robespierre, afferma ora che “La società e le leggi... hanno fornito nuovi impedimenti al debole e nuove forze al ricco, distruggendo senza possibilità di ritorno la libertà naturale, fissando per sempre la legge della proprietà e della disuguaglianza, trasformando un'abile usurpazione in un diritto irrevocabile, e sottomettendo ormai tutto il genere umano, per il profitto di qualche ambizioso, al lavoro, alla servita e alla miseria”.
1783
Comincia la fase della maturità politica e artistica del londinese William Blake (1757-1827). L'Apocalisse spira nelle pagine del grande poeta della visionarietà industriale. William Blake è una figura che ci conduce direttamente nell'ambiente intellettuale frequentato da Mary Wollstonecraft quando ancora non aveva sposato il “fondatore” dell'anarchismo: William Godwin. È un ambiente in cui l'industrialismo inglese non trova ancora forme espressive inedite, ma appare intriso di oscure reminiscenze cabalistiche. Il mistero antico e quello moderno concorrono a rendere cupamente fascinoso il profetico grido d'allarme:
Io vago per ogni strada sozza / Lungo la corrente del Tamigi sozzo / E su ogni volto umano scorgo / Segni di debolezza, segni di disgrazia.
La fabbrica non ha ancora invaso la città ma già il poeta intuisce che la bellezza sarà travolta dall'avanzata delle macchine. La religiosità di Blake è un cristianesimo sui generis. Il Système de la Nature di Diderot (autore che influenza profondamente tutto il primo pensiero anarchico) proclama il diritto dell'individuo alla felicità; gli enciclopedisti francesi conducono alle estreme conseguenze logiche il materialismo, in lotta con la morale e la religione intese come vincoli tradizionali, complesso precettistico di carattere coercitivo. William Blake va oltre e nel Marriage of Heaven and Hell (Matrimonio del Cielo e dell'Inferno) annuncia la formula rivoluzionaria: “II Bene è l'elemento passivo che obbedisce alla ragione. Il Male è l'elemento attivo che scaturisce dall'energia.. In quest'opera, che è del 1790, risuonano accenti nichilistici che fanno pensare a un marchese De Sade. Il romantico Blake è fortemente impressionato dalle rivoluzioni americana e francese; egli diventa amico di Tom Paine, l'autore di Common Sense, e al tempo stesso sostiene di avere colloqui coi profeti e coi santi. Ma in lui il fervore visionario si sposa a un temperamento violento anche nell'aspetto fisico (basso di statura, spalle quadrate, testa imperiosa) da rivoluzionario francese. Odiatore dei re e delle leggi, afferma modernamente: “Io non conosco altro cristianesimo e altro Vangelo che la libertà corporale e spirituale di esercitare le divine arti dell'Immaginazione”. Immaginazione ma anche drammatica denuncia del caos, della disumanizzazione e della frantumazione che riceverà consacrazione scientifica nell'organizzazione tayloristica del lavoro: “Ruota senza ruota per sconcertare la gioventù, per legare a fatiche di giorno e di notte le folle in eterno, che limino e puliscano rame e ferro ora dopo ora, laboriosa opera di chi ignora l'uso, e deve spendere i giorni di saggezza in miseria contristata, per ottenere uno scarso pasto, per scorgere una minima parte credendola il tutto”. (Quattro Zoas, 1795-1804).
In quegli stessi anni avviene un'espropriazione che in Inghilterra assume connotati drammatici. Una doppia espropriazione, anzi: da una parte i piccoli proprietari di terre vengono spossessati dai latifondisti; dall'altra gli ex artigiani sono espropriati delle loro capacita tecniche dall'adozione delle macchine. La rivoluzione industriale, che trionferà nel continente soltanto col secolo diciannovesimo, avviene diversi decenni prima in un'Inghilterra favorita dalle conquiste scientifiche. Nel 1769 si ha la prima applicazione tecnica del vapore. Le nuove scoperte forniscono all'industria nascente gli strumenti adatti all'espansione produttiva. Decade la bottega artigiana che si fondava sull'individualità e sulla non-intercambiabilità della figura del lavoratore, e s'afferma la fabbrica, la nuova cattedrale della lavorazione meccanizzata.
IMAGES - Nucleus
Quando ero bambino il sole brillava ogni giorno
il tempo scorreva lentamente e le foglie erano verdi.
Forse i boschi del passato non durano
ma non si può dimenticare l'emozione della scena.
Il terreno era duro e secco
il fiume scorreva vicino agli uccelli
che graffiavano messaggi nel cielo.
Facevo catene di margherite nei sentieri
di campagna ed il vento cantava tiepido
canzoni...
Quando ero solo un bambino
la luna brillava ogni notte ed io
contemplavo un mondo d'argento.
Non ho mai contato le pecore
che saltavano sul letto, prevedevo i sogni
che potevano venire, sogni di terre lontane
e pensieri e progetti futuri...
Le cose erano quello che sembravano,
la vita era come un sogno ed
il vento cantava tiepido canzoni.
(La costituzione dei Nucleus risale alla fine del 1969, quando un gruppo di musicisti provenienti dal validissimo mondo del jazz inglese si riunì per portare avanti un nuovo discorso, sempre basato sul jazz ma non precluso nei confronti di quelle esperienze rock che costituivano il pane quotidiano per la maggior parte dei giovani interessati alla musica.)
il tempo scorreva lentamente e le foglie erano verdi.
Forse i boschi del passato non durano
ma non si può dimenticare l'emozione della scena.
Il terreno era duro e secco
il fiume scorreva vicino agli uccelli
che graffiavano messaggi nel cielo.
Facevo catene di margherite nei sentieri
di campagna ed il vento cantava tiepido
canzoni...
Quando ero solo un bambino
la luna brillava ogni notte ed io
contemplavo un mondo d'argento.
Non ho mai contato le pecore
che saltavano sul letto, prevedevo i sogni
che potevano venire, sogni di terre lontane
e pensieri e progetti futuri...
Le cose erano quello che sembravano,
la vita era come un sogno ed
il vento cantava tiepido canzoni.
(La costituzione dei Nucleus risale alla fine del 1969, quando un gruppo di musicisti provenienti dal validissimo mondo del jazz inglese si riunì per portare avanti un nuovo discorso, sempre basato sul jazz ma non precluso nei confronti di quelle esperienze rock che costituivano il pane quotidiano per la maggior parte dei giovani interessati alla musica.)
L’educazione come merce
All’incirca nel 1600 cominciò ad affermarsi un nuovo consenso, intorno all’idea che l’uomo nascesse inidoneo alla società e tale rimanesse se non gli si forniva una “educazione”. L’educazione venne così a indicare l’opposto dell’attitudine vitale. L’educazione si identificò con una merce, immateriale che andava prodotta a beneficio di tutti, e a tutti dispensata nella stessa maniera. La giustificazione al cospetto della società divenne la prima esigenza dell’uomo, che viene al mondo in una condizione di stupidità analoga al peccato originale.
L’interesse ad educare la propria prole è antico ma si è dovuto attendere l’età moderna per vedere un sistema razionale di repressione e controllo del Sapere. L’idea di fondo della scolarizzazione istituzionale è che gli uomini non nascono uguali, ma lo diventano grazie ad un periodo di gestazione nel ventre della scuola, che guida a staccarsi dal proprio ambiente naturale, per approdare nella società civile come idonei cittadini-consumatori.
La scuola-istituzione, oltre a trasformare il sapere in merce e le attività umane in prestazioni professionali, è riuscita a legittimare la gerarchia del privilegio e del potere – nel medioevo affidata al favore del re o del papa – attraverso l’istituto liberale dell’istruzione obbligatoria che autorizza colui che è ben scolarizzato a considerare colpevole chi resta indietro nel consumo di sapere, in quanto dispone di un titolo inferiore.
Si è compiuto il paradosso del servo che non riesce più a vivere senza l’obbedienza al padrone e, con una adeguata colonizzazione dell’immaginario fornita dai media, nemmeno più immaginarsi senza catene. Né l’alchimia né la magia sono in grado di risolvere il problema dell’attuale crisi, che non sta nell’Aula bensì nell’Istruzione-Istituzione.
Occorre descolarizzare la nostra visione del mondo, e per arrivare a questo dobbiamo riconoscere il carattere illegittimo e religioso dell’impresa scolastica in se stessa. La sua hubris sta nel proposito di fare dell’uomo un essere sociale sottoponendolo a un trattamento entro un processo predeterminato.
L’interesse ad educare la propria prole è antico ma si è dovuto attendere l’età moderna per vedere un sistema razionale di repressione e controllo del Sapere. L’idea di fondo della scolarizzazione istituzionale è che gli uomini non nascono uguali, ma lo diventano grazie ad un periodo di gestazione nel ventre della scuola, che guida a staccarsi dal proprio ambiente naturale, per approdare nella società civile come idonei cittadini-consumatori.
La scuola-istituzione, oltre a trasformare il sapere in merce e le attività umane in prestazioni professionali, è riuscita a legittimare la gerarchia del privilegio e del potere – nel medioevo affidata al favore del re o del papa – attraverso l’istituto liberale dell’istruzione obbligatoria che autorizza colui che è ben scolarizzato a considerare colpevole chi resta indietro nel consumo di sapere, in quanto dispone di un titolo inferiore.
Si è compiuto il paradosso del servo che non riesce più a vivere senza l’obbedienza al padrone e, con una adeguata colonizzazione dell’immaginario fornita dai media, nemmeno più immaginarsi senza catene. Né l’alchimia né la magia sono in grado di risolvere il problema dell’attuale crisi, che non sta nell’Aula bensì nell’Istruzione-Istituzione.
Occorre descolarizzare la nostra visione del mondo, e per arrivare a questo dobbiamo riconoscere il carattere illegittimo e religioso dell’impresa scolastica in se stessa. La sua hubris sta nel proposito di fare dell’uomo un essere sociale sottoponendolo a un trattamento entro un processo predeterminato.
giovedì 13 agosto 2020
A proposito di carcere
Il proposito di abolire il carcere, nonché ogni forma di prigionia, è senza dubbio saggio, nobile, ammirevole e, soprattutto, radicalmente umano. Purtroppo, però, quando ci si addentra nella questione nei suoi aspetti teorici, com’è necessario, in quelli pratici e propositivi, ci si accorge di aver messo la mano in un nido di vipere, tutte altrettanto seppure diversamente mordaci, o, se proprio va bene, di avere di fronte un gioco di scatole cinesi. Un problema rimanda ad un altro, un’ipotetica soluzione ne azzanna un’altra, tuttavia non meno ipotetica, e via andando.
Quindi abolire il carcere è possibile?
Per un “radicale”, se è possibile, allora significa che questa abolizione è nell’interesse della società presente, che peraltro egli vuole combattere, cambiare o distruggere, e dunque non val troppo la pena di occuparsene; lo faranno comunque altri e, in ogni caso questa “abolizione” sarebbe soltanto spettacolare, mentre verrebbero rinnovate e rimodernate le forme di controllo sociale e perciò di prigionia in senso ampio. Per un “riformista”, se è veramente impossibile, è piuttosto utile mettere mano a delle modificazioni che, da un lato, lascino fuori dal carcere quanti più possibili e, dall’altro, ammorbidiscano le condizioni di quanti dentro ci restano.
Il “radicale” rischia di disinteressarsene, se non attraverso vaghe e fumose dichiarazioni di principio, affaccendandosi, nel frattempo, in altre faccende e lasciando mano libera ai professionisti del problema, aspettando un momento catartico x o y o z in cui tutto si risolverà. Il “riformista”, quale che sia la sua indole e natura, rischia di contribuire alla perpetuazione in eterno di carceri, leggi ecc., attraverso il loro addolcimento e la loro modernizzazione.
Abolire il carcere è un processo, nel quale l’astuzia, l’intelligenza, il realismo e l’utopismo vanno saviamente combinati, affinché siano un vero cocktail esplosivo.
Quindi abolire il carcere è possibile?
Per un “radicale”, se è possibile, allora significa che questa abolizione è nell’interesse della società presente, che peraltro egli vuole combattere, cambiare o distruggere, e dunque non val troppo la pena di occuparsene; lo faranno comunque altri e, in ogni caso questa “abolizione” sarebbe soltanto spettacolare, mentre verrebbero rinnovate e rimodernate le forme di controllo sociale e perciò di prigionia in senso ampio. Per un “riformista”, se è veramente impossibile, è piuttosto utile mettere mano a delle modificazioni che, da un lato, lascino fuori dal carcere quanti più possibili e, dall’altro, ammorbidiscano le condizioni di quanti dentro ci restano.
Il “radicale” rischia di disinteressarsene, se non attraverso vaghe e fumose dichiarazioni di principio, affaccendandosi, nel frattempo, in altre faccende e lasciando mano libera ai professionisti del problema, aspettando un momento catartico x o y o z in cui tutto si risolverà. Il “riformista”, quale che sia la sua indole e natura, rischia di contribuire alla perpetuazione in eterno di carceri, leggi ecc., attraverso il loro addolcimento e la loro modernizzazione.
Abolire il carcere è un processo, nel quale l’astuzia, l’intelligenza, il realismo e l’utopismo vanno saviamente combinati, affinché siano un vero cocktail esplosivo.
SPUMA DI MARE - Marina Ivanovna Cvetaeva
Chi è fatto di pietra, chi è fatto d’argilla –
Io invece sono fatta d’argento e brillo!
La mia occupazione – è il tradimento, il mio nome – Marina,
io – sono l’effimera spuma del mare.
Chi è fatto d’argilla, chi è fatto di carne –
a costoro la bara e le lastre tombali …
-battezzata nella fonte marina – e nel mio
volo continuamente infranta!
Attraverso ogni cuore, attraverso ogni rete
batte il mio arbitrio.
Io – vedi questi ricci scomposti? –
non sono fatta del sale della terra.
Mi frango sulle vostre granitiche ginocchia
e da ogni onda – risuscito!
Evviva la schiuma – l’allegra schiuma –
l’alta schiuma del mare!
Io invece sono fatta d’argento e brillo!
La mia occupazione – è il tradimento, il mio nome – Marina,
io – sono l’effimera spuma del mare.
Chi è fatto d’argilla, chi è fatto di carne –
a costoro la bara e le lastre tombali …
-battezzata nella fonte marina – e nel mio
volo continuamente infranta!
Attraverso ogni cuore, attraverso ogni rete
batte il mio arbitrio.
Io – vedi questi ricci scomposti? –
non sono fatta del sale della terra.
Mi frango sulle vostre granitiche ginocchia
e da ogni onda – risuscito!
Evviva la schiuma – l’allegra schiuma –
l’alta schiuma del mare!
Alle origini dell'anarchia parte seconda
1751
Muore a Lisbona Io scrittore inglese Henry Fielding, autore dei romanzi satirici Tom Jones (1749) e Jonathan Wild (1743). Sogghigna sulle labbra dell'avventuriero Jonathan Wild, con cui l'autore fornisce dimensioni borghesi ai Viaggi di Gulliver dello Swift, classico dell'anarchismo ante litteram, la nuova morale della rivoluzione industriale: Jonathan Wild aveva tutti i requisiti necessari a formare un grand'uomo. La sua passione più forte e predominante era l'ambizione, e la Natura, con consumata perizia, aveva adattato tutte le sue facoltà a raggiungere i fini gloriosi cui quella passione lo portava. Era quanto mai ingegnoso nel concepire piani, abile nel procurarsi i mezzi per mandare a effetto i suoi propositi, e risoluto nell'eseguirli. L'astuzia più raffinata e la più impavida audacia lo rendevano atto a ogni impresa, e di conseguenza non era intralciato da nessuna di quelle debolezze che sono d'ostacolo alle aspirazioni delle anime meschine e volgari e sono comprese nell'unico termine generale di onesti, che una corruzione di onorai, parola derivata da quella con la quale i greci designano un asino. Era del tutto esente dai vizi plebei della modestia e della bontà d'animo, che, come diceva, comportavano una negazione totale della grandezza umana ed erano le sole qualità che rendevano un uomo incapace di fare qualche figura nel mondo. La sua lussuria era inferiore soltanto alla sua ambizione, ma quanto al sentimento che i semplici chiamano amore, non sapeva che cosa fosse. La sua avarizia era immensa, ma del genere rapace, non di quello conservatore: la sua rapacità, cosi violenta che nulla l'accontentava mai se non l'intero bottino: per quanto grande fosse la parte che i suoi collaboratori gli riservavano, era instancabile nell'inventare modi che gli consentissero di far sua la più piccola elemosina che essi tenessero per se. Diceva che le leggi erano fatte a vantaggio dei conquistadores soltanto, per salvaguardare la loro proprietà: di conseguenza mai erano più pervertite di quando drizzavano gli strati contro di loro: ma questo generalmente accadeva per la mancanza di sufficiente destrezza da parte dei conquistadores stessi. La caratteristica di cui maggiormente si vantava e che principalmente onorava negli altri era l'ipocrisia. Senza ipocrisia il conquistadorismo non poteva andare molto lontano: perciò, diceva, ci si poteva aspettare poco successo da un uomo che riconosceva i suoi vizi, ma c'era sempre molto da sperare da chi ostentava grandi virtù (...). Fissò numerose massime circa i metodi più sicuri per raggiungere il successo, e nelle sue imprese vi si attenne costantemente. Come per esempio: 1) di non fare mai il male più di quanto fosse necessario per raggiungere lo scopo, perché il Tale era una cosa troppo preziosa per farne spreco; 2) di non fare distinzioni tra gli uomini basandole sugli affetti, ma di sacrificare chiunque con eguale prontezza al proprio interesse. Jonathan Wild farà una brutta fine. Se non fosse stato impiccato, la sua tempra di “realizzatore” pragmatista lo avrebbe spinto, sembra voler dire l'autore, tra le fila dei fondatori dell'industria britannica. In realtà l'insegnamento di Jonathan Wild: “Non compensare mai nessuno secondo i suoi meriti, ma insinuare sempre che il premio supera i meriti”, anticipa l'indignazione morale degli anarchici.
Muore a Lisbona Io scrittore inglese Henry Fielding, autore dei romanzi satirici Tom Jones (1749) e Jonathan Wild (1743). Sogghigna sulle labbra dell'avventuriero Jonathan Wild, con cui l'autore fornisce dimensioni borghesi ai Viaggi di Gulliver dello Swift, classico dell'anarchismo ante litteram, la nuova morale della rivoluzione industriale: Jonathan Wild aveva tutti i requisiti necessari a formare un grand'uomo. La sua passione più forte e predominante era l'ambizione, e la Natura, con consumata perizia, aveva adattato tutte le sue facoltà a raggiungere i fini gloriosi cui quella passione lo portava. Era quanto mai ingegnoso nel concepire piani, abile nel procurarsi i mezzi per mandare a effetto i suoi propositi, e risoluto nell'eseguirli. L'astuzia più raffinata e la più impavida audacia lo rendevano atto a ogni impresa, e di conseguenza non era intralciato da nessuna di quelle debolezze che sono d'ostacolo alle aspirazioni delle anime meschine e volgari e sono comprese nell'unico termine generale di onesti, che una corruzione di onorai, parola derivata da quella con la quale i greci designano un asino. Era del tutto esente dai vizi plebei della modestia e della bontà d'animo, che, come diceva, comportavano una negazione totale della grandezza umana ed erano le sole qualità che rendevano un uomo incapace di fare qualche figura nel mondo. La sua lussuria era inferiore soltanto alla sua ambizione, ma quanto al sentimento che i semplici chiamano amore, non sapeva che cosa fosse. La sua avarizia era immensa, ma del genere rapace, non di quello conservatore: la sua rapacità, cosi violenta che nulla l'accontentava mai se non l'intero bottino: per quanto grande fosse la parte che i suoi collaboratori gli riservavano, era instancabile nell'inventare modi che gli consentissero di far sua la più piccola elemosina che essi tenessero per se. Diceva che le leggi erano fatte a vantaggio dei conquistadores soltanto, per salvaguardare la loro proprietà: di conseguenza mai erano più pervertite di quando drizzavano gli strati contro di loro: ma questo generalmente accadeva per la mancanza di sufficiente destrezza da parte dei conquistadores stessi. La caratteristica di cui maggiormente si vantava e che principalmente onorava negli altri era l'ipocrisia. Senza ipocrisia il conquistadorismo non poteva andare molto lontano: perciò, diceva, ci si poteva aspettare poco successo da un uomo che riconosceva i suoi vizi, ma c'era sempre molto da sperare da chi ostentava grandi virtù (...). Fissò numerose massime circa i metodi più sicuri per raggiungere il successo, e nelle sue imprese vi si attenne costantemente. Come per esempio: 1) di non fare mai il male più di quanto fosse necessario per raggiungere lo scopo, perché il Tale era una cosa troppo preziosa per farne spreco; 2) di non fare distinzioni tra gli uomini basandole sugli affetti, ma di sacrificare chiunque con eguale prontezza al proprio interesse. Jonathan Wild farà una brutta fine. Se non fosse stato impiccato, la sua tempra di “realizzatore” pragmatista lo avrebbe spinto, sembra voler dire l'autore, tra le fila dei fondatori dell'industria britannica. In realtà l'insegnamento di Jonathan Wild: “Non compensare mai nessuno secondo i suoi meriti, ma insinuare sempre che il premio supera i meriti”, anticipa l'indignazione morale degli anarchici.
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giovedì 6 agosto 2020
Alle origini dell'anarchia parte prima
All'interno del movimento riformatore messo in moto in Germania dalla predicazione di Martin Lutero contro la chiesa romana, ma contro gli sviluppi aristocratici del luteranesimo stesso, si organizza la rivolta dei contadini tedeschi. Mentre Lutero si lega all'elettore di Sassonia. Miinzer scrive:«Quando il popolo si libererà il dottor Lutero sarà come una volpe presa in trappola Guidati da Thomas Miinzer gli anabattisti rivendicano, oltre a una religiosità più democratica (diritto di elezione e di rimozione dei propri pastori), l'eguaglianza sociale, la comunità delle terre e una nuova società. Miinzer vede nel movimento dei contadini lo strumento di una lotta che affranchi l'umanità dai rapporti feudali sul piano della libertà religiosa, della libertà economica. della libertà sociale. La rivolta viene sconfitta dai principi tedeschi aizzati da Lutero e Nliinzer è assassinato, ma le istanze del movimento troveranno una prima attuazione dieci anni dopo nella comunità di Miinster con l'abolizione del denaro, della proprietà privata e della monogamia.
1646-49
L'ala sinistra dell'esercito di Cromwell riprende. nel corso della prima rivoluzione inglese contro la monarchia assoluta, le istanze delle sette anabattiste e libertarie che si richiamavano a Miinzer. I capi del partito livellatore, John Lilbume, Richard Overton, William Walwyn, e più ancora Gerrard Winstanley portavoce dei veri livellatori. i Diggers (Zappatori), si ispirano a una concezione comunistica-cristiana che supera il campo religioso e si pone come discorso sui diritti dell'uomo.
1649
Mentre i Levellers col patto del popolo (stampato il primo maggio) si muovono nell'ambito di un limitato e contraddittorio democraticismo, i Diggers portano fino in fondo egualitarismo giuridico sostenuto inizialmente dai Levellers stessi. Gli zappatori vogliono l'abolizione della proprietà privata della terra e la restaurazione del possesso comune. Essi non rappresentano soltanto il disagio dei contadini poveri di fronte alla trasformazione del modo di produzione agricolo che si sta verificando in quel periodo in Inghilterra (espropriazione delle terre comunali in seguito alla recinzione dei fondi, detta enclosure), ma giungono a individuare il rapporto che intercorre tra proprietà della terra e mnittura oppressiva della società (istituzioni giuridiche, amministrative. religiose).
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L’ultimo garrotato: Salvador Puig Antich
Il 2 marzo 1974 el garrote franchista spezzava il collo per l’ultima volta a un oppositore: il non invidiabile primato di essere l’ultimo condannato a morte di un regime agonizzante toccò al giovane ventiseienne Salvador Puig Antich.
La notizia fece scalpore in tutto il mondo: naturalmente non per la condanna in sé – dato che la dittatura dal 1939 in avanti si era resa protagonista di ogni sorta di brutalità – ma perché il vecchio, arcigno caudillo aveva disatteso l’appello di Paolo VI alla moderazione.
Strano destino per il libertario catalano Puig Antich: difeso dal Vaticano (sino ad allora colonna portante della dittatura) e giustiziato ugualmente per giochi di potere che prescindevano dalle sue azioni. Egli era un membro del MIL (Movimiento Iberico de Liberación), una delle organizzazioni con forti radici anarchiche che dal 1972 – per mezzo della lotta armata – si opponeva al regime; arrestato nel settembre del 1973 con l’accusa di aver compiuto una rapina presso una banca di Barcellona a scopo di autofinanziamento, fu massacrato di botte al commissariato e gli fu contestata anche l’accusa di aver ucciso, nei momenti della cattura, il commissario che guidava l’operazione. Sin qui la cruda cronaca, ma il caso assunse contorni di politica internazionale: ormai il regime (come del resto il suo fondatore) era in decomposizione, il tentativo di congelare la società spagnola da un punto di vista politico liberalizzando l’economia aveva mostrato la corda e il nuovo capo del governo Arias Navarro necessitava di una prova di forza per affermare la sua autorità. D’altro canto la Chiesa cattolica, vero architrave del regime con il suo apparato e con la sua copertura internazionale, aveva compreso che era tempo di sganciarsi dalla dittatura agonizzante, pronta a ritornare purificata sui nuovi futuri scenari che iniziavano a intravedersi con la prossima dipartita del Generalissimo. A questa presa di distanza il regime reagì con un colpo di coda, giusto per suggellare la sua quarantennale storia di sangue: garrotò Puig Antich, espulse il vescovo di Bilbao, accusato di attentare all’unità della Spagna come ritorsione alle manovre vaticane e bastonò di santa ragione le migliaia di studenti spagnoli che manifestarono contro la condanna a morte.
La notizia fece scalpore in tutto il mondo: naturalmente non per la condanna in sé – dato che la dittatura dal 1939 in avanti si era resa protagonista di ogni sorta di brutalità – ma perché il vecchio, arcigno caudillo aveva disatteso l’appello di Paolo VI alla moderazione.
Strano destino per il libertario catalano Puig Antich: difeso dal Vaticano (sino ad allora colonna portante della dittatura) e giustiziato ugualmente per giochi di potere che prescindevano dalle sue azioni. Egli era un membro del MIL (Movimiento Iberico de Liberación), una delle organizzazioni con forti radici anarchiche che dal 1972 – per mezzo della lotta armata – si opponeva al regime; arrestato nel settembre del 1973 con l’accusa di aver compiuto una rapina presso una banca di Barcellona a scopo di autofinanziamento, fu massacrato di botte al commissariato e gli fu contestata anche l’accusa di aver ucciso, nei momenti della cattura, il commissario che guidava l’operazione. Sin qui la cruda cronaca, ma il caso assunse contorni di politica internazionale: ormai il regime (come del resto il suo fondatore) era in decomposizione, il tentativo di congelare la società spagnola da un punto di vista politico liberalizzando l’economia aveva mostrato la corda e il nuovo capo del governo Arias Navarro necessitava di una prova di forza per affermare la sua autorità. D’altro canto la Chiesa cattolica, vero architrave del regime con il suo apparato e con la sua copertura internazionale, aveva compreso che era tempo di sganciarsi dalla dittatura agonizzante, pronta a ritornare purificata sui nuovi futuri scenari che iniziavano a intravedersi con la prossima dipartita del Generalissimo. A questa presa di distanza il regime reagì con un colpo di coda, giusto per suggellare la sua quarantennale storia di sangue: garrotò Puig Antich, espulse il vescovo di Bilbao, accusato di attentare all’unità della Spagna come ritorsione alle manovre vaticane e bastonò di santa ragione le migliaia di studenti spagnoli che manifestarono contro la condanna a morte.
CIAO AMERICA! – Brian De Palma
Il film racconta le vicende intrecciate di tre personaggi, racchiuse tra due apparizioni televisive del presidente Johnson occupato a esaltare la "grande società" americana. I tre sono: Jon Rubin, il cui hobby è di fotografare le ragazze che si spogliano davanti ad una finestra; Paul Shaw, che cerca in ogni modo, anche spacciandosi per omosessuale, di evitare l'arruolamento per il Vietnam e intanto si procura donnine ricorrendo ad un computer; e infine Lloyd Clay, che tenta di scoprire la verità sull'assassinio di John Kennedy, poiché non crede alla versione ufficiale della sua morte. Quando arriva troppo vicino alla verità, Lloyd viene a sua volta ucciso come i diciassette testimoni del delitto. Alla fine del film, Jon Rubin, militare in Vietnam, è intervistato da un giornalista della TV, che lo vuol presentare come valoroso patriota, anziché sparare su una vietcong, come il giornalista si aspetterebbe, la fa spogliare davanti alla televisione.
Opera giovanile di un regista, Brian De Palma, poi divenuto famoso come 'maestro dell'orrore', il film - realizzato nel fatidico anno 1968 - mette in burla, attraverso le storie di tre giovani “non integrati”, l'America, e le sue istituzioni, dei tempi di Lyndon Johnson e della guerra nel Vietnam. Per la
sua libertà di scrittura, per l’euforia anarchica che scaturisce da quel balletto su corde tragiche e comiche, per la freschezza del suo ritmo e dei suoi ritrattino. Il film colpisce i suoi bersagli valendosi di modi espressivi che hanno poco in comune con le tradizionali regole cinematografiche di marca hollywoodiana. Il suo linguaggio, è quello dell'assurdo, della esasperazione comico-farsesca, delle gag ispirate alla più assoluta irriverenza verso l'America ufficiale e perbenista. La riflessione del regista diventerà sempre più amara e interessante col passare dei minuti, quando la farsa fa progressivamente spazio a una riflessione più acuta sulle ferite che attanagliano un Paese schiacciato da una guerra che non comprende e da un disagio di vivere che da generazionale assume carattere universale.
Non è un caso che a incorniciare Ciao America sia un’apparizione televisiva del presidente Lyndon Johnson che glorifica la società statunitense. Nel mezzo, ovviamente, di società gloriose ed esaltanti, nemmeno l’ombra. De Palma è sempre stato ossessionato dal tematizzare l’atto del guardare: spiare per provare a vedere e a capire meglio la realtà e l’irrealtà dello sguardo. Ed è chiaro che il punto di
partenza e d’arrivo, non può che essere una bugia, un falso indizio da smascherare. La posta in gioco è sempre la conoscenza; non per forza di cose rivoluzionaria, ma capace di avvicinare personaggi e spettatori alla realtà. Spiare e provare a capire si traducono, per De Palma, nel superare la bugia iniziale e seguire da vicino l’America da cartolina venduta dalle istituzioni. Un gesto che si concretizza nel racconto di tre ragazzi che di quella visione eroica rappresentano l’esatto opposto. Ognuno porta avanti le proprie contraddizioni, ognuno sovverte il sogno di nazione perfetta veicolato dai media.
Il film è anche un appassionato omaggio alla "Nouvelle Vague" francese e in particolare a Jean-Luc Godard, oltre che al movimento del "New American Cinema" nato qualche anno prima proprio a New York in contrapposizione a Hollywood e al marcato perbenismo propagandato dalle sue pellicole.
Opera giovanile di un regista, Brian De Palma, poi divenuto famoso come 'maestro dell'orrore', il film - realizzato nel fatidico anno 1968 - mette in burla, attraverso le storie di tre giovani “non integrati”, l'America, e le sue istituzioni, dei tempi di Lyndon Johnson e della guerra nel Vietnam. Per la
sua libertà di scrittura, per l’euforia anarchica che scaturisce da quel balletto su corde tragiche e comiche, per la freschezza del suo ritmo e dei suoi ritrattino. Il film colpisce i suoi bersagli valendosi di modi espressivi che hanno poco in comune con le tradizionali regole cinematografiche di marca hollywoodiana. Il suo linguaggio, è quello dell'assurdo, della esasperazione comico-farsesca, delle gag ispirate alla più assoluta irriverenza verso l'America ufficiale e perbenista. La riflessione del regista diventerà sempre più amara e interessante col passare dei minuti, quando la farsa fa progressivamente spazio a una riflessione più acuta sulle ferite che attanagliano un Paese schiacciato da una guerra che non comprende e da un disagio di vivere che da generazionale assume carattere universale.
Non è un caso che a incorniciare Ciao America sia un’apparizione televisiva del presidente Lyndon Johnson che glorifica la società statunitense. Nel mezzo, ovviamente, di società gloriose ed esaltanti, nemmeno l’ombra. De Palma è sempre stato ossessionato dal tematizzare l’atto del guardare: spiare per provare a vedere e a capire meglio la realtà e l’irrealtà dello sguardo. Ed è chiaro che il punto di
partenza e d’arrivo, non può che essere una bugia, un falso indizio da smascherare. La posta in gioco è sempre la conoscenza; non per forza di cose rivoluzionaria, ma capace di avvicinare personaggi e spettatori alla realtà. Spiare e provare a capire si traducono, per De Palma, nel superare la bugia iniziale e seguire da vicino l’America da cartolina venduta dalle istituzioni. Un gesto che si concretizza nel racconto di tre ragazzi che di quella visione eroica rappresentano l’esatto opposto. Ognuno porta avanti le proprie contraddizioni, ognuno sovverte il sogno di nazione perfetta veicolato dai media.
Il film è anche un appassionato omaggio alla "Nouvelle Vague" francese e in particolare a Jean-Luc Godard, oltre che al movimento del "New American Cinema" nato qualche anno prima proprio a New York in contrapposizione a Hollywood e al marcato perbenismo propagandato dalle sue pellicole.
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