La notizia fece scalpore in tutto il mondo: naturalmente non per la condanna in sé – dato che la dittatura dal 1939 in avanti si era resa protagonista di ogni sorta di brutalità – ma perché il vecchio, arcigno caudillo aveva disatteso l’appello di Paolo VI alla moderazione.
Strano destino per il libertario catalano Puig Antich: difeso dal Vaticano (sino ad allora colonna portante della dittatura) e giustiziato ugualmente per giochi di potere che prescindevano dalle sue azioni. Egli era un membro del MIL (Movimiento Iberico de Liberación), una delle organizzazioni con forti radici anarchiche che dal 1972 – per mezzo della lotta armata – si opponeva al regime; arrestato nel settembre del 1973 con l’accusa di aver compiuto una rapina presso una banca di Barcellona a scopo di autofinanziamento, fu massacrato di botte al commissariato e gli fu contestata anche l’accusa di aver ucciso, nei momenti della cattura, il commissario che guidava l’operazione. Sin qui la cruda cronaca, ma il caso assunse contorni di politica internazionale: ormai il regime (come del resto il suo fondatore) era in decomposizione, il tentativo di congelare la società spagnola da un punto di vista politico liberalizzando l’economia aveva mostrato la corda e il nuovo capo del governo Arias Navarro necessitava di una prova di forza per affermare la sua autorità. D’altro canto la Chiesa cattolica, vero architrave del regime con il suo apparato e con la sua copertura internazionale, aveva compreso che era tempo di sganciarsi dalla dittatura agonizzante, pronta a ritornare purificata sui nuovi futuri scenari che iniziavano a intravedersi con la prossima dipartita del Generalissimo. A questa presa di distanza il regime reagì con un colpo di coda, giusto per suggellare la sua quarantennale storia di sangue: garrotò Puig Antich, espulse il vescovo di Bilbao, accusato di attentare all’unità della Spagna come ritorsione alle manovre vaticane e bastonò di santa ragione le migliaia di studenti spagnoli che manifestarono contro la condanna a morte.
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