Qualcuno va sotto il vento nero; leggere e secche frusciano le canne
nella calma della palude. Nel cielo grigio
un volo di uccelli selvatici trapassa;
Di traverso sulle acque di tenebra.
Improvviso. Nella capanna cadente
scuote le ali nere la putredine;
storte betulle tremano al vento.
La sera nell'osteria abbandonata. Sulla via di casa la quieta
angoscia di greggi che pascolano tardi,
Una visione nella notte: i rospi emergono dalle acque argentee.
Georg Trakl, nato a Salisburgo nel 1887 (morto nel 1914 a Cracovia).Si legò alla sorella minore, Margarete (Grete), in un rapporto poi diventato incestuoso e che segnerà pesantemente la vita di entrambi, tanto che la sorella si ucciderà poco dopo la sua morte. Nel 1905 lasciò gli studi per andare a lavorare in una farmacia come apprendista. Cominciò così ad avere dimestichezza con le droghe, di cui farà uso per tutta la vita. Era nel frattempo entrato in un circolo di poesia e scriveva recensioni su giornali locali. Si diplomò in farmacia. Per qualche anno prova e abbandona dopo poche ore di lavoro, più posti di lavoro, trascinato dall'inquietudine che non gli impedisce di scrivere. Richiamato in guerra, è ufficiale addetto alla sanità nella battaglia di Grodek: assiste da solo un centinaio di feriti gravissimi, è sconvolto dall’impiccagione di 13 ruteni sugli alberi di fronte alla sua tenda. Nell'angoscia tenta, pochi giorni dopo, il suicidio ma viene salvato e ricoverato nell'ospedale psichiatrico di Cracovia dove, una settimana dopo, si uccide con un'overdose di cocaina.
(Georg Trakl sente di rappresentare la sua epoca, di incarnarla e assumerla su di sé in tutte le sue lacerazioni, proprio in quanto si sente sradicato da ogni contesto sociale, straniero alla propria casa, così come alla civiltà e al mondo. L'universalità della sua poesia è nell'estrema esperienza di un destino che sembra aver privato l'individuo di ogni rapporto con la totalità degli altri uomini. Per Trakl il mondo è costituito da frammenti che vanno alla deriva, da particolari spezzati e disgregati, che nella loro miseria possono esprimere solo la nostalgia di un'unità perduta.)
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