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giovedì 23 marzo 2023

Il carcere andando indietro nel tempo parte I°

Il carcere nell’antichità

Il giorno in cui la società organizzata, per salvaguardare la pace e la sicurezza sociale, stabiliva di isolare dalla collettività coloro che avevano violato l’ordine costituito, rinchiudendoli in appositi istituti (carceri), nasceva il problema penitenziario. Tale problema, però, fu inizialmente avvertito solo dal punto di vista della custodia o della polizia carceraria, essendo la pena intesa come vendetta sociale e mirando gli ordinamenti penali ad annullare il colpevole del reato più che a rieducarlo. In tempi remoti il carcere era quindi sostanzialmente concepito come edificio atto a custodire il reo cui doveva essere inflitta la pena prevista per il crimine commesso. Le pene potevano distinguersi in: pene corporali (fustigazione, mutilazione, tortura, morte, ecc.) o pene pecuniarie (confisca di parte o tutti i beni del reo).

Il sistema punitivo romano

Il diritto romano conosceva pene di carattere privatistico per i trasgressori di norme di interesse individuale da comminarsi mediante processo civile, e pene di carattere pubblicistico per i trasgressori di norme di interesse collettivo da comminarsi mediante processo penale. Le pene private erano per lo più pene pecuniarie e consistevano in una somma da versare all’offeso in risarcimento del danno subito. Le pene pubbliche variarono nel corso del tempo: la più grave rimase quella capitale ma vennero applicate anche l’esilio, la fustigazione, le pene pecuniarie, la destinazione ai lavori forzati nelle miniere o ai giochi del circo. Il carcere non veniva mai preso in considerazione come misura coercitiva in quanto serviva in linea di principio “ad continendos homines, non ad puniendos”. Era quindi considerato solo come mezzo di coercizione, arresto o detenzione preventiva, allo scopo di assicurare il reo alla giustizia.

L’ordinamento penale medievale

Il sistema penale medievale, basato sui criteri della vendetta privata, non fu propizio allo sviluppo del regime carcerario. Con la caduta dell’impero romano d’occidente, il sistema punitivo classico, basato sulla pena pubblica inflitta dallo Stato e irrogata tramite processo, non trovò più applicazione e tornò a prevalere la concezione della pena privata. La pena tendeva al risarcimento del danno o alla riparazione dell’offesa in una composizione sostitutiva della vendetta in cui il potere pubblico generalmente restava assente.

L’ordinamento penale feudale

Nella società feudale il carcere inteso come pena, nella forma della privazione della libertà, non esiste. Il carcere medievale, punitivo e privatistico si fonda sulla categoria etico-giuridica del “taglione”, a cui si associa il concetto di espiatio, forma di vendetta basata sul criterio di pareggiare i danni derivati dal “reato”. L’unico tribunale è quello del signore, solo lui emana gli ordini, a lui debbono obbedienza tutti coloro che hanno in concessione la terra o che vivono sui suoi fondi. La prigione, o meglio la detenzione, era solo un passaggio temporaneo nell’attesa dell’applicazione della pena reale, cioè la privazione nei riguardi del “colpevole” di quei beni riconosciuti universalmente come valori sociali: la vita, l’integrità fisica, il denaro. La crudeltà e la spettacolarità assolvevano la funzione di deterrente nei confronti di coloro che intendevano trasgredire le regole imposte dal “signore”. Nell’epoca feudale, essendo la giustizia amministrata dal “signore”, le pene erano determinate in modo assai vario, secondo la volontà di questo. Le pene avevano carattere pecuniario o corporale, oltre all’esilio e alla galera, pena che prevedeva l’imbarco del reo come rematore nelle navi. Detenzione e tortura era principalmente mezzi istruttori per ottenere la confessione dell’imputato, considerata la prova necessaria alla condanna.


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