Il capitalismo è diventato, dalla fine del XIX secolo, imperialismo. Non è lo stesso imperialismo di Lenin o Rosa Luxemburg perché non è più territoriale, ma monetario e finanziario. È un imperialismo ancora più sofisticato, predatorio, un imperialismo che, dopo altri, definisco del dollaro, in cui il profitto e la rendita tendono a confondersi. La sua azione non si limita a ciò che Marx chiama il «capitale», ma integra in una stessa macchina da guerra lo Stato, tanto la sua funzione politico-amministrativa quanto quella militare. Delle quattro caratteristiche principali dell’imperialismo di Lenin che possiamo ritrovare molto accentuate nel capitalismo contemporaneo, finanziarizzazione, colonizzazione, monopoli e guerra, quest’ultima ci sembra la più significativa perché costituisce una novità che il capitale di Marx non integrava ancora come condizione indispensabile dell’accumulazione capitalistica. L’imperialismo, in estrema sintesi, è moneta e guerra. Quando si dice che l’economia si è mangiata il politico, che la finanza detta le condizioni alla politica, si dice una cosa assolutamente falsa, perché la costituzione dell’imperialismo ha modificato radicalmente sia l’economia che la politica. Più precisamente, il capitale e il sistema politico statale (comprendente la burocrazia amministrativa e militare) si integrano, costituendo una macchina che però non annulla completamente le loro specificità. Funzionano insieme e in maniera complementare.
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