Difficile non solo riassumere, ma anche parlare della trama del film: "Pi" è la storia di un viaggio. Un viaggio profondo negli abissi della mente di Maximillian Cohen, geniale matematico affetto da potentissime crisi di emicrania (per aver fissato intensamente, da bambino, la luce del sole) perennemente rinchiuso nel suo appartamento di Chinatown. Disordinato, caotico, invaso da cavi e chip che formano il suo personale computer, quello con cui svolge le ricerche di tutta una vita. Max è un solitario, una persona schiva, disadattatosi in fretta alla società che lo circonda, alle mere esistenze di quell’agglomerato d’umanità che corre attraverso il labirinto chiamato “Grande Mela”. La sua vita sta tutta nella matematica, nei numeri. E non solo la sua. Max è convinto che ogni cosa esistente, la Natura, la Vita, gli indici di borsa, siano riconducibili e spiegabili attraverso schemi, numeri. Da questa considerazione forgia le sue massime sull’esistenza: La matematica è il linguaggio della natura, Ogni cosa può essere spiegata attraverso i numeri, Ottenendo numeri semplici, scomponendo ogni sistema, si possono ottenere dei modelli, Ovunque in natura esistono questi modelli. Fortemente convinto che l'intera natura, e persino la realtà umana, possano essere interpretate in termini di leggi matematiche e geometriche, Max è alla disperata ricerca di una regola universale che permetta di anticipare l'andamento delle quotazioni di borsa. Grazie all'aiuto di potenti calcolatori elettronici, farà la conoscenza con una serie numerica di circa 200 cifre, attorno alla quale gravitano gli interessi di un gruppo di speculatori di Wall street e di una congregazione ebraica. Maximillian verrà quindi trascinato in un vortice di eventi incontrollabili, a contatto con l' avidità e la sete di conoscenza dell'uomo moderno, fino a mettere a repentaglio la sua stessa salute mentale. È impossibile non rimanere rapiti da Pi Greco, l’opera prima dall’apparente struttura fantascientifica che Darren Aronofsky ha arricchito di suggestioni letterarie colte (Edgar Allan Poe e Franz Kafka) e di strizzate d’occhio a certo cinema di David Lynch. Girato in un bianco e nero contrastato affascinantissimo, il film è tra i pochi nella storia recente del cinema americano dotato di una sorprendente abilità di cogliere perfettamente il caos allucinatorio di un mondo soffocato dal rigore di una razionalità che tende all’infinito e alla verità divina. Pur mettendo al centro della narrazione una scienza particolarmente spigolosa come la matematica, Pi Greco espone teoremi e corollari in modo affascinante e sempre comprensibile anche a chi ha sempre avuto un rapporto conflittuale con la materia. La complessità del film è data solo dalla sintesi metodica dei vari elementi estetici e concettuali che vanno a collegarsi tra loro con il progredire delle vicende, senza lasciare nulla al caso.Ingegnoso e dotato di una tensione ben calibrata e graffiata da improvvise scariche di adrenalina, Pi Greco conduce per circa un’ora e mezza negli anfratti di una mente paranoica che si spinge verso i sentieri della metafisica per uscirne cambiata radicalmente. Il ritmo tachicardico e strutturato da un tempo psicologico di stampo postmoderno, tiene uniti tutti questi codici cinematografici che danno vita a una visione paranoica che si indirizza perfettamente nel tunnel della follia. Lo spettatore viene immediatamente contagiato da questa anarchico squilibrio, da Max e dalla sua tormentata visione del mondo. Una visione che abbraccia due estremi come l’ordine e il caos, il cui contrasto si può globalmente riassumere in una scena: Max è al mare, sulla spiaggia, mentre ammira i riflessi della luce sull’acqua; Max si avvicina al bagnasciuga e trova una conchiglia; la raccoglie e, portandosela vicino, ne riconosce la perfezione delle forme geometriche. La matematica non è altro che filosofia, la più concettuale e astratta a cui l’uomo ha affidato il proprio destino. Come la conchiglia, questa creatura della natura rigettata sulla spiaggia da quella stessa acqua che le ha permesso la vita. Un’esistenza che ha inconsciamente fiducia nel caos, libera da costruzioni logiche in cui l’uomo invece, spesso si imprigiona per rifiutare la verità dell’ineffabile.
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