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giovedì 13 luglio 2023

La Rivoluzione Sociale di Pier Carlo Masini


"VIVA LA RIVOLUZIONE SOCIALE ", con questo grido erano finiti i lavori della Conferenza di Rimini. E il Cafiero, presidente di quella conferenza, aveva poco dopo concluso il suo articolo sul congresso dell'Aia con parole altrettanto impegnative e solenni: "A provare le nostre forze attendiamo la Rivoluzione: che essa giudichi autoritari ed anarchici". Ma che cosa intendevano gli internazionalisti italiani per rivoluzione sociale? Essi anzitutto, mettendo piuttosto l'accento sull'aggettivo che sul sostantivo, intendevano il contrario della rivoluzione politica, di cui il Risorgimento con il suo epilogo unitario-monarchico, rappresentava l'esempio negativo e deludente. In secondo luogo, per la stessa impostazione anarchica del problema, non potevano concepire la rivoluzione nei termini delle esperienze quarantottesche: come conquista del potere politico a mezzo di colpi di mano sui centri di questo potere. Infatti gli internazionalisti non volevano in alcun modo – né violento, né pacifico, né legale, né illegale – la conquista del potere politico, ma si proponevano piuttosto di distruggerlo. Le due questioni erano legate perché la conquista del potere politico ricadeva ancora negli schemi della rivoluzione politica che appunto gli internazionalisti rifiutavano in nome della rivoluzione sociale. D'altra parte la rivoluzione politica richiedeva anche per il suo successo una organizzazione fortemente centralizzata, un efficiente apparato militare, una rigida disciplina ideologica e tattica che gli internazionalisti, per ragioni di principio, rifiutavano. Detto ciò che gli internazionalisti non volevano, resta più facile capire che cosa in effetti volessero. Di positivo volevano, come dicono i loro programmi, "l'emancipazione del proletario" e "l'organamento del lavoro": due obiettivi che a loro giudizio stavano completamente fuori della politica corrente, in una nuova dimensione storica. Per "emancipazione del proletario" essi intendevano la liberazione dei lavoratori dalla condizione del salariato e dalla soggezione al capitale; per "organamento del lavoro" una organizzazione economica collettivistica a base federativa fra i comuni e le associazioni produttive: questa era la parte socialista del loro programma. Quanto alla rivoluzione sociale – o come si diceva talvolta più  fantasiosamente liquidazione sociale – essa si presentava agli occhi degli internazionalisti come una prospettiva catastrofica e palingenetica, una specie di sisma politico più o meno imminente. Si trattava di un mito di potente effetto nell'agitazione e nella propaganda, mancante peraltro di quella concretezza e praticabilità che invece si ritrovava nei piani rivoluzionari di tipo tradizionale, giacobino o blanquista, mazziniano o garibaldino. Un nuovo millenarismo animava questa idea di rivoluzione sociale non più concentrata in un punto dato e prevista per un momento convenuto, ma concepita come un moto diffuso e ininterrotto, una guerra senza quartiere, senza rigidi fronti di combattimento, senza possibilità di armistizi e di soluzioni provvisorie: cospirazioni, dimostrazioni barricate guerriglia per bande, sortite, moti di piazza, proteste, agitazioni, scioperi, attentati, rivolte in campagne e in città, atti individuali e movimentI collettivi, fino alla totale distruzione del nemico: tutto questo era la rivoluzione sociale.





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