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giovedì 27 luglio 2023

El Colores) e Maganza banderilleros anarchici

La brutale persecuzione franchista contro tutto ciò che rappresentava l’“altra” Spagna fu uno dei presupposti fondamentali del golpe militare del luglio 1936. Migliaia di militanti libertari e di tutta la sinistra, anarco-sindacalisti della CNT o socialisti dell’UGT, insegnanti, intellettuali, operai e semplici contadini, furono imprigionati e trucidati. Non si trattò di una conseguenza dello scontro in atto, ma di un piano ben preciso. Gonzalo de Aguilera Munro, capo ufficio stampa di Franco, dichiarò al giornalista statunitense John T. Whitaker:  “il nostro programma consiste nello sterminare un terzo della popolazione maschile della Spagna. In questo modo si ripulirebbe il paese e ci disfaremmo del proletariato”. Come è noto, tra le vittime della ferocia franchista vi fu anche il poeta Federico García Lorca. Fino a pochi anni fa le circostanze della sua morte, compresa l’ubicazione del luogo della sua uccisione, erano ancora sconosciute. Ma la vicenda si è venuta via via dipanando fino a essere ripetutamente ripresa nei titoli dei giornali spagnoli ed europei. Da alcuni anni infatti da più parti viene fortemente messo in discussione quel pacto del olvido che fu sancito alla morte di Franco: transizione indolore alla democrazia in cambio del silenzio sui crimini franchisti. È in questo clima che è maturata l’approvazione della cosiddetta Ley de la Memoria Histórica così come la decisione del giudice Baltasar Garzón di permettere, appunto, la riapertura delle fosse comuni in cui giacciono ancora migliaia di sconosciute vittime antifasciste. E proprio la riesumazione dei resti del famoso poeta andaluso è stata al centro di una contesa legale, che ha visto protagonisti i familiari di Lorca e quelli delle altre persone che con lui furono fucilati. Quella notte del 17 agosto 1936 infatti, nella fattoria “Las Colonias”, García Lorca non aspettò la morte da solo. L’indomani fu condotto fino al bordo del burrone della località andalusa di Víznar legato ad altre tre persone. È lì che furono tutti e quattro fucilati ed è lì che ancora giacciono. Ma chi erano gli altri tre? Le loro biografie sono narrate in un libro pubblicato nel 2007 in Spagna, opera del giornalista Francisco Vigueras Roldán, Los paseados con Lorca: el maestro cojo y los dos banderilleros (Comunicación Social Ediciones y Publicaciones, Pedro Crespo Editor, 2007). Si chiamavano Dióscoro Galindo Gonzáles, Francisco Galadí Melgar (detto El Colores) e Joaquín Arcollas Cabezas (detto Maganza). Il primo era un maestro elementare repubblicano di sessant’anni originario della provincia di Valladolid ma che viveva e lavorava a Pulianas nella provincia di Granada; Galadí e Arcollas invece, entrambi di Granada, erano due banderilleros anarchici, sindacalisti della centrale libertaria CNT (nella tauromachia iberica il banderillero è il torero che conficca la lancia nella cervice del toro). Galadí per vivere lavorava anche come idraulico. Sia lui sia Arcollas erano molto conosciuti a Granada, specialmente nell’ambiente taurino, dove arrivarono a godere di una grande fama, tanto che ancora oggi sono ricordati in riviste spagnole dedicate alla tauromachia. Entrambi erano due “uomini d’azione” della CNT, impegnati anima e corpo nella difesa dei diritti dei lavoratori in un’epocain cui un padronato dispotico e violento rispondeva, nel migliore dei casi,col licenziamento di fronte a qualunque rivendicazione sindacale. Entrambi parteciparono alla resistenza antigolpista nello storico barrio granadino dell’Albaicín. Alla caduta del quartiere, prima di intraprendere la sortita che avevano organizzato per raggiungere le milizie antifranchiste, Galadí volle salutare il proprio bambino di dieci anni, con un incontro segreto. Ma una spiata permise ai franchisti di catturarlo assieme ad Arcollas, suo compagno inseparabile. Furono portati nel centro di Granada e lì picchiati selvaggiamente in pubblico, come ammonimento al resto della popolazione. Il principale responsabile della repressione, il comandante Valdés, li odiava in modo particolare, per lo spirito ribelle e di non sottomissione che avevano sempre mostrato. Dopo averli assassinati i falangisti perquisirono le loro abitazioni e diedero fuoco a quasi tutti i loro documenti e ricordi di famiglia. Rimasero solo alcune foto in abito da torero. Al di là delle vicende giudiziarie legate alla riapertura delle fosse comuni, c’è da augurarsi che le fino ad ora anonime vittime del franchismo non siano più utilizzate strumentalmente da una pesante gestione tutta istituzionale dei “martiri della democrazia” che non si domanda se per quei militanti antifranchisti era davvero questa democrazia il tipo di mondo nuovo a cui pensavano e per il quale si erano battuti fino a pagarne le conseguenze estreme. Una riparazione autentica sarebbe quella che più che agli ossari pensasse a ciò che di vivo c’era in quel passato soffocato nel sangue. Non solo la poesia di García Lorca. Perché Lorca non “es todos los muertos” come ha stupidamente titolato “El País”. Come se una volta riesumato e sepolto degnamente il poeta granadino si fosse resa giustizia a tutti i perseguitati. Ma, appunto, riparare significa anche ripensare alle idee e alle esperienze libertarie e anarcosindacaliste di autogestione e solidarietà. Quelle per cui uomini come Galadí e Arcollas hanno dato la vita. Ma il potere non ha certo interesse ad adoperarsi per qualcosa che, nel trarre ispirazione dalle idee e dalla vita dei nonni, portasse i nipoti a una pericolosa voglia di agire nel presente.


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