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giovedì 27 ottobre 2011

Il tempo scomparso

Crescere viene visto come accumulo, rassicurazione, rinuncia, ripetizione.
Tutto questo è davvero molto triste. E', soprattutto, questo che chiamano crescere è scandito dall'ossessione del tempo. Così le persone si conformano all'età, e finiscono per essere giocate dalla loro età. 
Quello che chiamano crescere non è che un biglietto di sola andata per le terre aride della normalizzazione. È allevare un'immensa energia di vita, per poi lasciarla cadere nelle mani sterili di un sistema di esistenza che la soffoca. Molti hanno ben raccontato che questo tempo, questa età, sono essenzialmente trappole psicologiche.
Krishnamurti ci ha raccontato che esiste una attività senza tempo. C'è un modo di vivere in cui il tempo, quale movimento da uno stato all'altro,è scomparso.
Possedere la  consapevolezza è un modo di vita, che è così superiore al tempo e all'età. E poi l'intensità con cui si vive può davvero portare alla luce il ritmo singolare dei nostri neuroni, facendoli scivolare fuori dal meccanismo del tempo. La passione
è veramente il semplicissimo antidoto contro l'invecchiamento.
Le esperienze più intense e felici, l'espansione più ampia dei sensi e dei sentimenti, ravvivano e rinnovano la struttura molecolare, il sistema nervoso. Perfino la pelle. E non è forse vero che tutte le esperienze quin-tessenziali accadono con una sospensione del tempo, ci trasportano al di là del tempo e dell'età?
L'estasi, le illuminazioni, tutti gli stati espansi attraversano il tempo e toccano un'essenza superiore. L'amore stesso, e lo stesso amore dei corpi, generano lampi di vita dove il tempo svanisce. Usciamo dal tempo seriale, e accarezziamo un tempo biologico e un tempo cosmico. Zone di tempo liberato. Perfino certe esperienze collettive apparentemente legate a una data e a un luogo, il movimento psichedelico, ad esempio, sono accadute come squarci nel tempo storico, svelamenti di mondi paralleli con un loro senso del tempo autonomo ed espanso.
È in questi eventi che sciolgono il tempo che gli esseri umani vivono il proprio stato di grazia; dove l'eternità non ha niente a che vedere con il tempo".

IL MORBO

" Rivoluzionari anarchici, diciamolo ad alta voce: noi non abbiamo speranza al di fuori del diluvio umano; non abbiano avvenire che nel caos; non abbiamo altra risorsa al di fuori di una guerra generale che, mescolando tutte le razze e spezzando tutti i rapporti costituiti, strapperà dalle mani delle classi dominanti gli strumenti di oppressione con i quali esse violano le libertà acquisite a prezzo di sangue. Instauriamo la rivoluzione nei fatti, trasformiamola nelle istituzioni; che sia inoculata con la spada nell'organismo della società, affinché non possa più esserne sradicata. Che la marea umana salga e travolga! Quando tutti i diseredati saranno morsi dalla fame, la proprietà non sarà più cosa santa; nel fracasso delle armi, il ferro risuonerà più forte dell'oro; quando ciascuno combatterà per la propria causa, nessuno avrà più bisogno di essere rappresentato." (E. Coeurderoy-1825/1862)


La Rivoluzione Sociale non significa un cambiamento al vertice del potere politico ma é la distruzione dell'ordine presente delle cose. Instaurare un nuovo cielo e una nuova terra, cambiando da cima a fondo l'esistente; conciliare senza residui il bene della totalità con quello di ogni singolo, estirpando così alla radice l'antitesi tra essere e dover essere, utilità e moralità, piacere e dovere.
Noi intendiamo la rivoluzione come un virus, un rivolgimento radicale, come la sostituzione di tutte le forme senza eccezione della vita contemporanea ( carcere, scuole, ospedali, fabbriche, birrerie, case, chiese, monumenti, luna park, città, nazioni etc...) con altre nuove, completamente opposte. Se tutte le forme esistenti sono sbagliate, le forme di vita assolutamente nuove possono sorgere soltanto dopo la distruzione totale dello stato di cose esistente.
Bisogna distruggere il dominio dell'uomo sull'uomo, dei morti sui vivi, della materia sullo spirito.
Bisogna distruggere l'autorità dei potenti, della legge, della proprietà.
Bisogna distruggere l'illusione che fa l'uomo soggetto alla propria opera.
Bisogna distruggere questo delirante ordine di cose, che é tenuto insieme da violenza, menzogna, apprensione, ipocrisia, bisogno, disperazione, sofferenza, lacrime, inganno e delitto.
Bisogna distruggere tutto ciò che si oppone all'amore.
Perché in caso contrario: se si preserverà qualche vecchia forma, non fosse che una sola: si salverà il germe delle forme precedenti a cui sarà possibile, in futuro, crescere rigogliosamente.
Quindi il mutamento diverrebbe solo apparente e temporaneo.
La distruzione non può essere parziale, un solo popolo non la può fare; essa può cominciare in un solo paese, ma deve essere portata a compimento da tutti insieme.
Distruggere in un sol colpo e senza discriminazione tutto ciò che esiste, con l'unico avvertimento di farlo al più presto e il
più possibile . La distruzione comprende noi stessi impossibilitati a ricostruire perché contaminati dal germe del capitale, dalle comodità, dalle abitudini, dalla televisione, dall'automobile, dal denaro etc...
La ricostruzione semmai ci sarà, spetterà alle individualità nate negli anni del rinnovamento.


Il cervello sano e incorrotto dei giovani deve capire che è molto più umano scannare e strozzare decine o tutt'al più, centinaia di persone odiose piuttosto che partecipare con costoro allo assassinio, al supplizio e alla tortura sistematica e legale di milioni di contadini, come vi partecipano in modo più o meno diretto i nostri funzionari, i nostri scienziati, i nostri preti, i nostri mercanti, insomma tutti i membri dei ceti che opprimono tutti quelli che vi appartengono!... Tutte le menti giovani e sane devono dedicarsi immediatamente alla sacra causa dello sterminio del male, della purificazione e del rischiaramento della terra col ferro e col fuoco, unendosi fraternamente a quelli che franno lo stesso nel mondo"
(Bakunin I principi della rivoluzione 1869)


(Archivio Bodo's Project 1984)

Una bicicletta non è nulla ma è già qualcosa

Pedalare è sinonimo di andare via, affrancarsi dalla condizione di bipede, infrangere la legge di gravità ed entrare nel fluttuante e ritmico mondo della tubolarità. E pura magia, la meraviglia di sentire il corpo entrare in automatica, dopo aver superato la goffaggine iniziale. 
E' un atto programmato nel nostro DNA come nuotare o fare l'amore che ci aiuta a comprendere che il vero equilibrio è insito nel movimento e non nella stasi. Un atto gratuito, un'iniziazione in piena regola, con tanto di prove e perdita di sangue (le ginocchia sbucciate e le mani scartavetrate). La partecipe attenzione di un anziano che risveglia nel neofita una rinnovata confidenza con il proprio sistema neuromuscolare. Un rito accompagnato dal mantra cigolante della catena che, pedalando, viene sgranata e fatta ruotare come un rosario. Andare in bicicletta non implica alcuna stupida esibizione di potenza, non riduce brutalmente lo spazio vitale di chi ci vive accanto, non ha ricadute negative sull'ambiente, richiede solo ottimismo e sfrontato coraggio (dare le spalle alle automobili è un vero atto di fede affrontato dal nostro guerriero interiore). I popoli precolombiani usavano la ruota per i giocattoli dei loro bambini, i tibetani come mezzo di propulsione per le loro preghiere, ma la ignoravano per il trasporto di cose o di persone; la bicicletta è la splendida sintesi dei possibili usi della ruota: è insieme gioco, trasporto e preghiera.
Il magnifico scheletro esterno che permette alla razza umana di superare di gran carriera i limiti imposti dall'evoluzione biologica, cantato da Alfred Jarry, padre della patafisica e terrore delle strade della Belle Epoque. E' da sempre uno strumento fondamentale di iniziazione e di libertà, un modello insuperato di veicolo socialmente responsabile, egualitario, silenzioso e sensuale. (Avete mai portato nessuno in canna?). E' sintomatico che la due ruote, sin dalla sua comparsa, abbia goduto del favore delle minoranze creative. Anche la bicicletta ha dato vita a vere e proprie subculture fondate su uno stile di vita fuori dalle regole, sebbene a prima vista possa apparire meno esotica del surf, meno trendy dello snowboard, meno giovanilista dello skate e meno appariscente della motocicletta. Un legame, quello tra bicicletta e culture antagoniste che, con l'acuirsi della dipendenza psico-sociale nei confronti dell'automobile, non solo non si è interrotto, ma è diventato ancora più forte. Una lunga teoria di rivolta ed eccentricità semovente, che va dalle coraggiose suffragette ai mitici Bauls del Bengala, dai Vietcong sulla pista di Ho Chi Minh alla bici fatata di Albert Hoffmann, dalle bici pacifiste dei Provos a quelle imbottite di esplosivo della Rote Arme Fraktion tedesca, dagli anarcociclisti britannici ai bike messengers newyorkesi, dalla musa wahroliana Nico alla svizzera ribelle Annemarie Schwarzenbach. 
  

giovedì 20 ottobre 2011

LIBERARE LA VITA QUOTIDIANA

Quando le forze produttive raggiungono uno stadio di sviluppo avanzato, come quello attuale, in cui si può disporre delle risorse materiali ed immateriali per vincere la scarsità e per liberare dalla necessità del lavoro salariato la vita umana, allora si disvela, tutta intera, la possibilità di una dimensione estetica dell'esistenza. Quando scienza e tecnologia, da strumenti di oppressione e dominio quali sono, possono essere trasformati in strumenti disponibili alla forza liberatrice dell'immaginazione, allora è possibile pensare e realizzare un mondo modellato dalla sensibilità estetica.
Su questo terreno si incontrano le istanze di superamento dell'arte e di piena realizzazione dell'esistenza avanzate dalle avanguardie artistiche e quelle di trasformazione sociale e politica, di liberazione umana, avanzate dalle avanguardie rivoluzionarie. 
La realizzazione della dimensione estetica dell'esistenza accomuna i movimenti di avanguardia artistici e politici contemporanei. 
Su questo terreno pratica artistica e pratica politica risultano convergenti. 
Oggi, infatti, agire politico vuoI dire creare forme autonome di esistenza, liberare la vita quotidiana, costruire come opere d'arte il tempo e lo spazio del nostro vivere. 
Oggi praticare forme di antagonismo e di sovversione adeguate all'attuale modo di produzione post-industriale (che regola, condiziona, determina, domina e mette in produzione tutti i singoli momenti della nostra esistenza) vuoI dire creare nuove forme di vita, vuoI dire assegnare ad ogni attimo, ad ogni azione della nostra giornata, un valore estetico. 
Oggi ogni prassi antagonista deve necessariamente tendere alla riconquista della pienezza dell'esistenza attraverso l'azzeramento della distanza che separa la pratica artistica dalla pratica di liberazione della vita quotidiana.
Sottrarre la nostra vita al dominio ed allo sfruttamento, al lavoro forzato ed al bisogno, alla mercificazione ed alla sopravvivenza significa non solo combattere contro questa forma della realtà, ma anche mettere in atto una realtà altra, mettere in atto forme e modi di vita differenti.
Significa immaginare una vita degna di essere vissuta e praticare questa immaginazione trasformando, subito, la forma, i modi, i tempi della nostra esistenza.
La nostra vita è unica, singolare, irripetibile. Essa può diventare l'unica e sola opera d'arte che valga davvero la pena di realizzare. 
Dobbiamo imparare a stimarla come cosa rara. Dobbiamo imparare ad assegnare, ad ogni suo momento, il valore che merita. Non possiamo svenderla ad un padrone, buttarla via nella noia della sopravvivenza, mortificarla con il lavoro forzato e con la vuotezza in cui cercano di imprigionarla.

IL COMUNALISMO LIBERTARIO

Come diceva Errico Malatesta, gli anarchici ritengono che "la più gran parte dei mali che affliggono gli uomini dipende dalla cattiva organizzazione sociale", e proprio perché convinti di ciò, propongono quale alternativa alla società del dominio la costruzione di una società basata sulla libertà. 
Due sono, dunque, le forze propulsive dell'anarchismo, quella distruttrice e quella costruttrice: abbattere dominio, costruire libertà. 
La prima non si riconosce nel presente, anzi lo delegittima, lo combatte e mira gradualmente a distruggerlo; la seconda invece è tutta intenta a prospettare di già il futuro: una società della libertà e dell'uguaglianza.
Insomma, gli anarchici, convinti che le iniquità siano dovute all'organizzazione gerarchica della società, propongono che ognuno riprenda nelle proprie mani il destino e che tutti insieme riprendiamo in mano il destino dell'umanità, per renderci artefici di una società in orizzontale, che parta dall'individuo per giungere poi alla libera associazione fra individui, alla comune ed infine ad una federazione dal basso, che unisca le libere comuni dal territorio al mondo intero.
Ecco, è così che gli anarchici amano pensare il municipalismo o il comunalismo libertario, come dir si voglia: come una proposta radicale, rivoluzionaria, ma nello stesso tempo gradualista; una proposta che si colloca nelle conflittualità dell'oggi per la difesa degli interessi immediati delle classi subalterne, ma si prefigge, nel contempo, di iniziare a costruire nel "qui ed ora" le basi alternative su cui edificare la società libera del domani.

Urla la morte nel carattere selvaggio delle guerre

Ciò che è stato chiamato storia è solo storia della merce e degli uomini che la producono disumanizzandosi.
L'espansione economica è stata non una vittoria dell'uomo, ma il blocco imposto all'espansione della vita umana, cui essa è parassitariamente sostituita.
Sostenere che il mondo evolve è confondere due movimenti inversi: il divenire della sopravvivenza e l'emergere della vita. La prima è tributaria al processo mercantile, la seconda non ha il suo posto nella storia; vi penetra  grazie dei sismi. Il solo che possa toccarla dipende dalla crescente astenia di cui minaccia il salasso accelerato del lavoro, la dialettica di morte in cui l'insieme delle attività umane tende a meccanizzarsi secondo imperativi economici.
La storia agisce  come catalizzatore fra la dialettica di morte, che coincide con l'umanizzazione mercantile, e la dialettica di vita, sempre presente e mai riconosciuta. Più la presa dell'economia si allenta  e meglio la vita si apre una nuova  strada.
Le epoche di distruzione parossistica indicano l'irruzione  della volontà di vivere e il grado di potenza  repressiva messo in opera per rimuoverla. La vita tenuta a freno urla la morte nel carattere selvaggio delle guerre, nello scatenamento delle rivolte, nella barbarie delle oppressioni, nella ferocia dei costumi quotidiani, nella grande ricaduta delle epidemie.
Esse spesso vengono dopo periodi in cui l'conomia si abbandona  allo slancio di una mutazione riuscita, talvolta allo sbando in cui si annuncia la nascita di una forma nuova. E quando avviene è come se la primavera fiorisse all'improvviso nella storia in cui le stagioni non esistono.
Allora l'amore diviene la grande preoccupazione, l'autorità patriarcale viene derisa, la virilità guerriera ridotta alla sua ridicola dimensione. Il  riso risuona fresco, il bambino esiste, la donna appare. La donna rivestita dei suoi abiti di gioia, maestosa nella sua certezza di essere la creatura più inutile e la più nociva a questa economia che i preti hanno inventato sacrificando l'amore al potere.

giovedì 13 ottobre 2011

Etica e scienza nell’'anarchismo di Malatesta

L'anarchia, «è un' aspirazione umana, che non è fondata sopra nessuna vera o supposta necessità naturale, e che potrà realizzarsi secondo la volontà umana». Questa «aspirazione umana» si pone oltre ogni valenza razionale e teoretica perché deriva da «un sentimento, che è la molla motrice di tutti i sinceri riformatori sociali, e senza del quale il nostro anarchismo sarebbe una menzogna o un non senso. Questo sentimento è l'amore degli uomini, è il fatto di soffrire delle sofferenze altrui».
«Per spirito anarchico intendo quel sentimento largamente umano che aspira al bene di tutti, alla libertà ed alla giustizia per tutti, alla solidarietà ed all'amore fra tutti».
Detto in altri termini, l'anarchismo è prima di tutto un' etica che va al di là di ogni spiegazione razionale perché «è nato dalla rivolta morale contro le ingiustizie sociali». In quanto aspirazione umana verso la libertà universale, si pone oltre la necessità naturale, come ogni altra necessità storica o scientifica. L'anarchia infatti è una costruzione culturale e il concetto di libertà ne è la massima espressione, nel senso che testimonia la valenza tutta precaria e volontaria di tale conquista: «la libertà non si conquista e non si conserva se non attraverso lotte faticose e sacrifici crudeli, la libertà piena e completa è certamente la conquista essenziale, perché è la consacrazione della dignità umana».
In questo concetto di libertà come conquista, Malatesta rivela una visione dicotomica tra natura e cultura. La natura non è un luogo di armonia, bensì per molti versi un elemento ostile all'uomo, per cui questi è tanto più libero quanto più riesce a piegare le avversità esterne che lo circondano. Tale idea rivela il senso perfettamente anarchico della libertà come termine ultimo della storia. Infatti, l'uomo liberato dal principio di autorità, cioè l'uomo anarchico, «sta al culmine, non all' origine dell' evoluzione umana». 
«Tutta la vita specificamente umana è lotta contro la natura esteriore, ed ogni progresso è adattamento, è superamento di una legge naturale.
Il concetto della libertà per tutti, che implica necessariamente il precetto che la libertà dell'uno è limitata dalla eguale libertà dell'altro, è concetto umano; è conquista, è vittoria, forse la più importante di tutte, dell'umanità contro la natura».

Il tempo perduto

Se si considera in tutta la sua estensione la crisi della società contemporanea  non credo sia possibile guardare ancora agli svaghi come ad una negazione del quotidiano.
Per il capitalismo classico, il tempo perduto è ciò che è estraneo alla produzione all'accumulazione, al risparmio.
La morale laica, insegnata nelle scuole della borghesia, ha impiantato questa regola di vita. 
Il fatto è che il capitalismo moderno, con un'astuzia inaspettata, ha bisogno di aumentare i consumi, di innalzare il livello di vita. 
Possiamo dire quindi che questa espressione classica del tempo perduto è rigorosamente priva di senso. 
Poiché contemporaneamente, le condizioni della produzione parcellizzata e cronometrata sin nei particolari sono diventate perfettamente indifendibili, obsolete ed antieconomiche la morale, già in atto nella pubblicità nella propaganda e in tutte le forme dello spettacolo dominante, ammette invece apertamente che il tempo perduto è quello del lavoro, giustificato solo dai vari livelli del guadagno, che permette di comprare il riposo, i consumi, gli svaghi, cioè una passività quotidiana fabbricata e controllata dal capitalismo.
Ora se consideriamo l'artificiosità dei bisogni del consumo, creata dal nulla, ed incessantemente stimolata dall'industria moderna, se si riconosce il vuoto degli svaghi e l'impossibilità del riposo, si può porre la domanda in modo più realistico: che cosa non sarebbe tempo perduto? In altre parole: lo sviluppo di una società dell'abbondanza dovrebbe portare all'abbondanza di che cosa?

giovedì 6 ottobre 2011

1977, tracce alfabetiche di sogni infranti

Riaprire una porta, guardare negli scaffali della memoria, togliere muffa e polvere dai ciclostili a mano abbandonati e accatastati su bandiere e bottiglie oramai secche di benzina.
Nessuna storia, nessuna verità, nessun pistolotto pro o contro quello o quel ’altro “avevi ragione tu avevo ragione io”, niente di tutto ciò! Solo un percorso emozionale senza distruggere ragnatele e sogni, senza analizzare parole o pensieri di cose e persone che non ci sono più.
Lasciarsi andare un attimo a sentimenti e aliti di sorrisi lontani, non razionalizzare e criticare documenti e volantini o date, ma appoggiarsi sulle pieghe di comunicati sgualciti e giornali ingialliti fuori.
Nessuna pietà nel dimenticare capi, leader e avanguardie, negli scaffali della memoria non c’è posto per chi in fondo ma non troppo voleva comandare, dirigere, profetizzare.
Niente di tutto questo ma solo lucciole che nel buio ci ricordano squarci  di luce folgorante, attimi di rivolta esaltante, profonde carezze femminili e/o maschili sui nostri fazzoletti calati sul viso, sui corpi nudi nei parchi, gioiosa rivoluzione permanente guardando fotografie sfuocate su un alfabeto dimenticato

DEATH TOWN

Il poliziotto rosicchia il mio dito rosolato e imburrato, voltandosi per nascondere il suo semplice piacere animale. Mi rendo conto che la situazione é precipitata. 
I morti costruiscono le città, le strade, le piazze. L'incontriamo in marmo, in pietra, in bronzo; questa iscrizione ci dice la loro nascita, quest'altra la loro dimora. Le piazze portano i loro nomi o quelle delle loro imprese. Il nome della strada non indica la sua posizione, la sua forma, la sua altitudine, il posto, parla solo di morti,di massacri.
La metropoli, un grande labirinto sporco e infernale, stracarico di insegne colorate, architetture strane, lampadine intermittenti, cartelloni pubblicitari, gente in tuta che corre dannatamente non solo nei parchi o nelle zone residenziali, gente di tutti i colori, gli emarginati, gli straccioni, i senza lavoro, gli affamati, le prostitute, i mendicanti sui gradini delle chiese, i pensionati sulle panchine solitarie che aspettano la morte come un treno della notte, i negri umiliati, i giovani vittime della droga, gli alcolizzati, gente con le manette ai polsi, quelli con lo braccia alzate, il suicida, l'omicida e la sua vittima, l'imputato dietro le sbarre, chi entra o esce dalla galera, il condannato che va verso il patibolo, il malato di mente, il paralitico, i gobbi e gli storpi, chi arranca con e stampelle, la ragazza sfigurata dall'incidente, la vecchia mascherata dalle rughe, l'attrice imbruttita dal tempo, gli annegati, i corpi carbonizzati, gli schiantati dai sismi, i dilaniati dalle esplosioni, la madre dell’'assassino, quella della vittima, i figli di chi ha ucciso l'amante,
gli orfani dell'amante, la ragazza violentata, il bambino percosso, quelli che ogni tanto di inverno muoiono di freddo accovacciati sulle grate che soffiano fuori l'aria calda dei sotterranei, quelli che anche d’estate non si rialzano più dalle panche di marmo fulminati dall'inedia, le maschere carnevalesche delle ragazzine di dodici anni cui la necrosi fosforica ha divorato le unghie e i capelli, gli occhi corrosi dei vetrai nei forni delle fabbriche, le laide purulenze della sifilide, i cancri sanguinolenti e succhiatori di vita, la tubercolosi, l'epatite e l' AIDS che abitano i tuguri, gli sbirri, i germi infettivi, tutto ciò che costituisce il marciume sociale, la tortura, l'’angoscia, l'usciere, il proprietario, il padrone, il giudice.
Personaggi alla ricerca disperata di successo, di denaro, di potere; i tre numi tutelari della metropoli che ha come parola d'ordine alla moda workalcoholic (alcolizzato di lavoro) drogato del proprio mestiere, della volontà di diventare qualcuno, vedi l'epopea di John Travolta in Staying Alive.
In un territorio metropolitano così frantumato e invadente, ma nello stesso tempo affascinante e surreale, l’'unico compagno reale é il suono. Un compagno fragoroso esaltante, stroncante, che impazza 24 ore su 24 fornendo una colonna sonora alla nostra vita; sirene bitonali della polizia, dei pompieri, delle ambulanze,
motori ubriachi di traffico caotico, clacson impazziti, respiro fastidioso degli impianti di aria condizionata, il bisbiglio dei venditori di droga, il vociare della malavita ingioiellata ed arrogante, i nostri passi striscianti e trasgressivi sperduti in questo inestricabile puzzle, con in testa ogni giorno un solo obbiettivo
LA SOPRAVVIVENZA.

Municipalismo libertario - NOTAV


Il municipalismo libertario promuove un ideale sociale fondato su possibilità reali e concrete, in termini di effettivo cambiamento della società attuale, una possibilità politica pratica e realistica nelle città e nei territori.
Il municipalismo libertario non è né uno stratagemma propagandistico, né una «strategia» né una «tattica», l’intenzione è che diventi la forma assunta da una società razionale ed ecologica.
Si tratta della ridefinizione di una politica vitale che non si fonda esclusivamente sulle creazione di una democrazia partecipativa ma invita, con argomentazioni incalzanti, alla municipalizzazione dell'economia stessa.
Con ciò si dovrebbe intendere: l’acquisizione dei mezzi di sussistenza da parte della comunità, la gestione della vita economica, l’integrazione di aziende, negozi, terre, ecc...
Il controllo da parte della comunità secondo criteri confederali e antiautoritari.

Non l’idea marxista di economia nazionalizzata.
Non l’idea sindacale tradizionale di controllo operaio.
Non quella borghese di proprietà privata.

Una politica, e una prassi che chiama i gruppi locali a organizzarsi, a tracciare un programma politico che stimoli la democratizzazione delle città, dei quartieri, dei territori, che costruisca una nuova cultura politica di opposizione allo Stato in un ottica antiautoritaria.
La prospettiva municipalista libertaria di trasformare i villaggi, paesi , quartieri e città in una nuova sfera politica non può che stare in contrapposizione con lo Stato nazionale.
La nascita di nuove istituzioni democratiche di base, porterà inizialmente alla possibilità di esercitare un influenza prettamente di carattere morale non certamente strutturale; in seguito, partendo da queste basi istituzionali, o paraistituzionali si riuscirà a determinare effetti scismatici di vasta portata che condurranno a un'aperta opposizione al potere dello Stato. 
E' auspicabile che le municipalità libertarie possano emergere numerose, dovrebbero in ogni caso perseguire la creazione di un'articolata rete federata che potrà renderle più forti, meno vulnerabili alla repressione che inevitabilmente dovranno sopportare. La creazione di reti solidali impedirà inoltre il realizzarsi del rischio di rinchiudersi in involuzioni localistiche e reazionarie.
Le municipalità libertarie come nuovo sistema economico, come nuova etica, come nuovo rapporto con l'ambiente, come nuovo rapporto fra gli esseri umani.
Esempi di questo genere seppure frammentati e talora certamente contraddittori stanno nascendo, iniziano sperimentarsi un po' ovunque sul nostro pianeta, a volte sono solo accenni, solo embrioni di municipalismi libertari, a volte nascono dall'esigenza di difendere i propri territori dall'aggressione della macchina speculatrice del capitalismo finanziario. E' il caso qui in Italia, dei Movimenti che si aggregano e resistono ai progetti distruttivi delle così dette grandi opere: è il caso del Movimento NOTAV che sperimentando forme di democrazia partecipativa molto avanzate, partendo da differenze e provenienze culturali a volte molto marcate, riesce a resistere da oltre 20 anni in Valsusa al progetto dell'alta velocità.