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giovedì 10 novembre 2011

SALOME' di Carmelo Bene

Film destinato ad un pubblico di palato fine.
Salomè riserba infatti molti gaudi allo spettatore che si consegna inerme al bombardamento a tappeto di immagini e di suoni in cui consiste il succo e il fascino della rappresentazione. Opera cinematografica per eccellenza, Salomè è la traduzione per lo schermo, dopo le edizioni teatrali fatte dallo stesso Bene, degli incubi di Erode Antipa, il tetrarca della Galilea che mandò a morte San Giovanni Battista e processò Gesù. Sposato ad Erodiade, già moglie di suo fratello, l'uomo si mangia con gli occhi la bella figliastra Salomè, ma è tormentato dal dubbio che sulle ali di un vento gelido stia per arrivare qualche sventura. 
Dopo un prologo che ci offre primi piani di natiche spolverate con un piumino, il film s'addentra nella baraonda d'un grande banchetto, scivolato ovviamente nell'orgia, a cui si mescolano gli strazianti presagi di Erode, tutti espressi in forme grottesche; un' Ultima Cena, dove gli apostoli fanno a gara per passare alla storia come traditori, un Gesù coi dentini alla Dracula, un altro che tenta di inchiodarsi da sé alla croce (ma gli avanza una mano...) e via beffeggiando. Mentre Erode, incalzato dalla lussuria e annebbiato da sanguigni fantasmi, supplica Salomè di danzare per lui, un vecchio farneticante in cui si deve riconoscere Giovanni Battista tenuto prigioniero nella cisterna pronuncia incomprensibili minacce e, in dialetto siciliano, copre di contumelie la principessa. 
Da parte loro Erodiade (incarnata da due personaggi, un uomo e una donna), la scongiura di non ascoltare il patrigno, e i cortigiani celebrano le sue grazie assomigliandola alla Luna che impassibile assiste al corso deI destino. Finisce che, ottenuta la promessa d'avere in cambio da Erode tutto quel che vorrà, Salomè compie la danza dei sette veli la cosa più morbida del film, sulla musica di «Abatjour»  ma precipita il tetrarca nella follia col chiedergli la testa del Battista. 
Le ultime sequenze vedono Erode spellato da Salomè e l'uomo che cercava di crocifiggersi uscire d'imbarazzo dandosi una martellata in testa.
Chi conosce Carmelo Bene sa che la chiave per penetrarlo è l'eccentricità della fantasia, non speculare sul senso logico del film, ma dobbiamo gustarne gli effetti cromatici e sonori.
Carmelo Bene ha il dente avvelenato con la religione, e perciò gradisce la fama d'irriverente, se non di blasfemo. 
In realtà egli è lontano da Bunuel: il suo Cristo che si intreccia la corona di spine cantando Vipera viene dalla festa delle matricole. 
La parodia è un'operazione anzitutto strettamente culturale. Essa non funziona, infatti, in presa diretta col reale; bensì nel rapporto con un'opera d'arte che mira a svuotare con la contraffazione caricaturale, è, insomma, un'operazione critica; che, però, ha per scopo non già la comprensione dell'opera ma la sua distruzione.
Cinema dell'atto, senza azione, senza traiettoria, istantaneo nel suo divenire. Lo sguardo non è avvertito se non come falso, sempre filtrato da specchi, schermi, vetri. Ma non è neanche uno sguardo guardato. Caleidoscopio di luci e suoni, quest'urlo abbacinante, questa supernova di voci, musiche e rumori spezzati, contraddetti e rimasticati nella sua caoticità classica offre spiragli di accessibilità pigra.




"Cinema è quando gli occhi miei si chiudono solo a guardarmi dentro" (Carmelo Bene)

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