All'interno del movimento contro la globalizzazione si va definendo una rete internazionale di resistenza contro il neo liberismo: una rete collettiva di tutte le lotte e resistenze particolari, una rete intercontinentale di resistenza per l'umanità. Non si tratta di una struttura organizzata, una organizzazione gerarchica, o comunque piramidale.
La rete è costituita e rappresentata da tutti coloro che resistono. Le origini e le inclinazioni del movimento sono naturalmente internazionaliste, poiché lo sono le sue esigenze.
La visione neoliberale di 'globalizzazione' definisce e libera i movimenti di capitali e merci, e nello stesso tempo costruisce barriere sempre più efficaci contro la libera circolazione delle persone, delle idee e della informazione. La libera circolazione delle persone, determinerebbe già di per se il declino del progetto neoliberista. Sono evidenti le connessioni e i collegamenti tra le politiche neo liberiste e meccanismi di coercizione messi in atto dagli stati nei confronti degli oppositori (polizia, prigioni, militarizzazione di territori controllo della informazione, censura, criminalizzazione, delegittimazione), come sempre più efficaci sono divenuti i controlli alle frontiere nei confronti dei “reietti” di coloro che tentano di fuggire dalla fame, dalle guerre che lo stesso sistema democratico propone e promuove.
I muri le griglie che separano e proteggono i capi della finanza, i politici da ogni contatto con la popolazione, nelle loro periodiche riunioni (G8, G20 etc), sono divenuti il simbolo perfetto per quello che significa in realtà il neoliberismo in termini umani.
Le pratiche di resistenza utilizzate da questo movimento hanno alla base la cultura della disobbedienza civile non violenta, ma determinata. Il richiamo alla violenza, evocato dalla maggior parte dei media asserviti al dominio, è divenuto una sorta di mantra costante da utilizzare in ogni occasione di azioni di opposizione, di resistenza: "violente proteste", "violenti scontri", "manifestanti violenti", o "violenti disordini". Stiamo parlando di azioni quali lanciare bombe di vernice, rompere le finestre di negozi vuoti, di blocchi stradali etc. E' probabile che ciò che veramente infastidisce il potere è proprio la relativa mancanza di violenza, i governi semplicemente non sanno come trattare con un movimento apertamente rivoluzionario che rifiuta di cadere in modelli familiari di resistenza armata o di pacifismo gandhiano. Molti gruppi (Direct Action Network, Reclaim the Streets, anarchici del black block, tute bianche e tantissimi altri ancora) stanno tutti, a modo loro cercando di delineare nuovi territori, nuovi linguaggi di disobbedienza civile, che combinino elementi di teatro di strada, di festa, di circo e di quanto altro possa servire. Si tratta come dicono gli anarchici del blocco nero di “guerra non violenta”, nel senso che evita qualsiasi danno fisico diretto agli esseri umani, o agli animali, ma che non rispetta le cose, gli oggetti simboli del potere, e chiaro che tutto questo deve essere accompagnato da sistemi di difesa passiva atti a preservare per quanto possibile l'incolumità dei corpi dei resistenti dalle aggressioni delle milizie professionali messe in campo dai governi, nascono allora forme elaborate di protezione: imbottiture, ripari, maschere antigas, anonimato etc. Si tratta di tattiche in perfetto accordo con la cultura del movimento anarchico che nel suo polimorfismo raccoglie in se l'idea centrale dell'antiautoritarismo, del rispetto per le diversità, dell’associazione volontaria, dell’autogestione, del mutuo appoggio, della democrazia diretta, dell'azione diretta.
Si tratta di smantellare i meccanismi di governo, di conquistare sempre maggiori spazi di autonomia , di allacciare reti a sviluppo orizzontale antigerarchiche. L'anarchismo è il cuore del movimento, la sua anima, la fonte di maggiore novità e di speranza.
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