Il compito che ci attende nel prossimo futuro sarà quello di provare a stimolare forme di vita dentro e oltre la crisi. Se ciò non avverrà, allora l'egoismo, il risentimento e l'odio potranno organizzarsi nuovamente in guerra: guerra fra i popoli, guerra all'interno dei popoli, guerra fra le diversità.
Milioni di persone hanno creduto in questi decenni che la somma di lavoro e sacrificio avrebbe ripagato prima o poi con la ricchezza economica il tempo sottratto a se stessi, ai propri affetti, alle proprie relazioni, ai propri desideri, alla vita reale in definitiva.
Nel momento in cui il il capitalismo non sarà più in grado di garantire la promessa di ricchezza economica in cambio di miseria affettiva e psichica, le variabili emotive che si metteranno in moto saranno davvero imprevedibili.
E' qui che l'azione politica deve collocarsi ai margini di un processo di dissoluzione delle vecchie forme di società.
Nessuna rivoluzione ha infatti mai inventato il "nuovo", poiché essa è sostanzialmente "processo", le rivoluzioni si sono sempre limitate -per così dire- a far emergere ciò che già esiste, in forma latente, nel corpo sociale e a consentire che ciò che prima languiva diventasse egemone.
Si tratta allora di sradicare una fede, una religione: quella dell'economia, del progresso, dello sviluppo lineare infinito, di rigettare il culto irrazionale e idolatra della crescita fine a se stessa, della centralità della merce e della subordinarietà dell'uomo.
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