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giovedì 3 maggio 2012

ANDRÒ COME UN CAVALLO PAZZO di Fernando Arrabal

Il rapporto edipico madre/figlio è il motore narrativo di J’irai comme un cheval fou. Aden rampollo di ricca famiglia ha sfogato il suo odio verso la madre (Emanuelle Riva) uccidendola, rubandole soldi e gioielli e fuggendo nel deserto. Aden attraverso visioni surreali come la fellatio di sua madre con un uomo orripilante e il suo masturbarsi davanti a questa scena, ricorda le crisi di epilessia, le punizioni corporali, si rivede bambino in una mangiatoia o con la corona di spine, spiegando così al pubblico l’amore/odio morboso nutrito per la genitrice.
Aden fugge nel deserto dove incontra un ometto bizzarro, Marvel, un nano in grado di spegnere la luce nel deserto tramutando il giorno in notte e di compiere altri prodigi che cambierà la sua vita. L’uomo civilizzato, che però si è macchiato di una colpa arcaica e tribale, prima impaurito poi chiaramente affascinato dal suo nuovo amico, decide di portarlo nella civiltà.
Marvel tuttavia non può comprendere gli usi della metropoli e continua a compiere i suoi rituali, commettendo tra l’altro sacrilegio in una chiesa, resuscitando Cristo dalla sua croce e facendo gocciolare dalla sua mano sangue vero.
Fallito il tentativo di convertire il suo nuovo amico alla vita civile, mostrata nel film come un gigantesco lager nazista; per espiare il matricidio, Aden chiede di essere processato dall’amico e, ritenuto colpevole viene ucciso. Marvel una volta riportato il corpo di Aden nel deserto. Lo divora, In questo modo Marvel ingloba per sempre Aden dentro di sé.

Fernando Arrabal ripropone il mito illuminista del buon selvaggio per riflettere sulla follia del nostro mondo, consumistico e inquietante. Andrò come un cavallo pazzo ha il pregio di spiazzare continuamente lo spettatore, di sbalordirlo, meglio di scioccarlo. 
Le opere di Arrabal sono percorse da diverse correnti artistiche, ma "Andrò come un cavallo pazzo" è essenzialmente figlio di influenze surrealistiche, dovute anche alla collaborazione di Arrabal con André Breton. Il "Manifesto surrealista" (scritto dallo stesso Breton nel 1924) definisce il surrealismo come un "automatismo psichico puro", un meccanismo espressivo fondato sulla "onnipotenza del sogno" e sul "gioco disinteressato del pensiero", funzionante "in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica o morale". In chiave cinematografica, si tratta di rappresentare le profondità inesplorate dell'animo umano e della realtà, portandone in superficie i lati finora rimasti inespressi: ne deriva una nuova estetica che non si preoccupa di rappresentare l'inconscio della psiche, le repressioni sessuali, le sensazioni forti e violente, le immagini brutte e sporche. Arrabal ne attinge a piene mani. Sangue e sperma, urina e feci. Cadaveri e scheletri. Coprofagia e necrofagia. Nudità e ambiguità sessuali.  Cannibalismo, sesso, terrore, amore nelle sue espressioni più radicali. Eppure nessuno di questi eccessi è fine a se stesso: tutto assume rilevanza nell'ottica di insieme.
All’epoca il film fece scandalo, per come attaccava a testa bassa le convenzioni borghesi e rifiutava le logiche istituzionali della società e della famiglia, tanto che il 15 novembre 1973 si è visto rifiutare il suo visto di censura poi autorizzato ai maggiori di anni 18.





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