In un mondo sempre più artificiale, in cui l’umanità sembra ormai incapace di esprimere la sua volontà di vivere e di resistere a ciò che ne ostacola la felicità, urge una riscoperta dello spirito del dono per rovesciare la prospettiva di una sopravvivenza programmata per essere consumata contro natura.
Il mostro dell’economia autonomizzata va urgentemente fermato e nessuno potrà farlo al nostro posto.
Al dogma della crescita economica comincia a opporsi il progetto di una decrescita piacevole e conviviale, tendente a ristabilire sul piano demografico, su quello dei consumi, su tutti i piani del vivente il predominio della qualità sulla quantità.
Sta a noi non ridurlo a un’ennesima morale di rinuncia. Non abbiamo niente da perdere se non una immensa insoddisfazione in una tragedia planetaria.
Abbiamo da esplorare la gioia di vivere al di fuori di qualsiasi sacrificio.
Non è una certezza, ma una scommessa, cui ogni istante siamo invitati a non rinunciare mai, che finalmente dalle ambiguità dell’apatia generale venga fuori una volontà di battersi per creare se stessi armonizzando la società col godimento di sé.
Niente ci impedirà di distinguere, all’ombra dei patiboli, delle prigioni, delle fabbriche, delle scuole, nella clandestinità delle città, la folla insolita di coloro che hanno vissuto e tentano di vivere in rottura con gli imperativi della sopravvivenza. Una tale folla è in ciascuno di noi. Basta sentirla al di sopra del vano gridio della morte.
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