Il film inizia con una serie di ciak che preludono alla esposizione delle costrizioni tecniche, economiche e ideologiche in cui il film è nato. Mentre si vede una mano che firma assegni e cambiali per pagare il personale e il materiale che servirà al film, una voce ricorda che per fare un film occorrono capitali, attrezzature, un paio di vedette, una storia d’amore … le due vedette sono Jane Fonda e Yves Montand. Lei, una giornalista di una stazione radio americana a Parigi, cerca quando può di far scivolare come informazioni le sue simpatie per la sinistra rivoluzionaria. Lui, un regista, che hai tempi del maggio ha girato film militanti e che ora non si sente più di fare film di puro spettacolo, e vive con la pubblicità aspettando nuove occasioni. I due si trovano coinvolti quasi per caso in un avvenimento che considerano con simpatia, ma che eccede le loro reali capacità di comprensione: entrati per un servizio giornalistico in una fabbrica occupata, nella quale gli operai hanno sequestrato il padrone, rimangono a loro volta bloccati poiché gli scioperanti non intendono fare distinzioni fra padroni e intellettuali che sono, in definitiva, al servizio di questi. La rappresentazione della fabbrica occupata è uno spaccato della realtà del lavoro e della ribellione operaia. Ognuno dei protagonisti risponde anche ad una intervista: il padrone cercando di negare la stessa realtà delle classi, nel suo riformismo paternalistico; gli operai più attivi descrivendo l’alienazione del lavoro e rispondendo alla repressione con gesti di creatività proletaria; i delegati sindacali o gli operai iscritti al partito richiamandosi continuamente al pericolo dell’avventurismo e della provocazione.
La sequenza della fabbrica occupa quasi metà della pellicola, ma questa lunga sequenza serve solo da reagente per la particolarissima storia d’amore del film: fa cioè scattare la presa di coscienza dell’uomo e della donna, mette in crisi la loro convivenza basata solo su una generica comunanza di interessi: denaro, sesso, progressismo borghese. Inizia così per la coppia una lucidissima confessione e riflessione sul proprio lavoro e il proprio impegno dopo la frattura del maggio 68. Riflessione che è fatta dal film stesso, che con qualche immagine di repertorio e con scontri fra gauchistes e polizia ricostruiti simbolicamente effetua il più lucido bilancio che il cinema abbia compiuto su quella esaltante stagione. I temi della mercificazione totale, della vita e della politica, sono ripresi allora in un lunghissimo piano sequenza girato all’interno di un supermercato, dove due interminabili carrellate laterali avanti e indietro scoprono prospettive di prodotti di consumo e banchetti di vendita politica, con un membro del partito comunista che offre a prezzo scontato copie di un programma-manuale per la felicità futura. Se tutto è merce la risposta non può essere che la distruzione della merce in quanto tale: ecco allora l’irruzione nel supermercato di un gruppo di estremisti che annunciano che tutto è gratis ed iniziano il saccheggio, imitati di soppiatto dagli stessi poliziotti intervenuti prontamente a manganellarli. Lui e Lei alla fine si ritroveranno, in un bar, e ricominceranno a parlarsi.
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