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giovedì 14 marzo 2013

LE PAROLE PRIGIONIERE


Le banalità per quel che nascondono, lavorano per l’organizzazione dominante della vita. Come lo è dire il linguaggio non è dialettico, per vietare così l’uso di ogni dialettica. Ora niente è manifestatamene più sottomesso alla dialettica che il linguaggio, in quanto realtà vivente. Così ogni critica del vecchio mondo e stata fatta con il linguaggio di questo mondo eppure contro di esso, dunque automaticamente in un linguaggio altro. Ogni teoria rivoluzionaria ha dovuto inventare le proprie parole, distruggere il senso dominante delle altre parole e portare nuove posizioni nel mondo dei significati, corrispondente alla nuova realtà in gestazione, e che bisogna liberare dal guazzabuglio dominante. Le stesse ragioni che impediscono ai nostri avversari (i padroni del Dizionario) di fissare il linguaggio, ci permettono oggi di affermare posizioni altre, negatrici del senso esistente. Tuttavia sappiamo in anticipo che queste stesse ragioni non ci permettono affatto di ambire ad una certezza legiferata definitivamente; una definizione è sempre aperta, mai definitiva; le nostre valgono storicamente, per un periodo dato, legato ad una prassi storica precisa.
È impossibile sbarazzarsi di un mondo senza sbarazzarsi del linguaggio che lo nasconde e lo garantisce, senza mettere a nudo la sua verità. Come il potere è la menzogna permanente e la verità sociale, il linguaggio ne è la garanzia permanente e il Dizionario il suo riferimento universale. Ogni prassi rivoluzionaria ha provato il bisogno  di un nuovo campo semantico e di affermare una nuova verità; dagli Enciclopedisti fino alla critica del linguaggio stereotipato stalinista (da parte degli intellettuali polacchi nel 1956), questa esigenza non smette di venire affermata. Il fatto è che il linguaggio è la dimora del potere, il rifiuto della sua violenza poliziesca. Ogni dialogo con il potere e violenza, subita o provocata. Quando il potere risparmia l’uso delle armi, è al linguaggio che affida la cura di conservare l’ordine oppressivo. Di più ancora, la coniugazione dei due è l’espressione più naturale di ogni potere.

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