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giovedì 23 ottobre 2014

L'economia come furto della nostra vita

L’economia è pronta a regnare su un proletariato planetario i cui frammenti si coagulano in caste tutte ugualmente coinvolte – certamente a gradi molto diversi – nello stesso feticismo dell’interesse economico. Di esse fanno parte i bramini decisionisti (clero privilegiato dell’abbondanza mercantile, delle sue mondanità e delle sue miserie), i borghesi agiati (nutriti dalla rendita o dai profitti del commercio, il cui conto in banca è impinguato o svuotato dalla speculazione borsistica), le masse laboriose (occupate dal lavoro salariato o dalla disoccupazione), e perfino gli ultimi dei paria (esclusi dall’abbondanza del consumo e, proprio per questo, utilissimo esempio negativo per scoraggiare qualunque velleità emancipatoria dalla dittatura economica).
Tutte queste caste, formate dai resti sbriciolati delle antiche classi, hanno in comune di essere ormai radicalmente separate dalla loro propria natura umana e dalla natura in generale, al punto da non riconoscerla nemmeno più e di partecipare al suo avvelenamento in un crescendo di nocività.
La moltiplicazione esponenziale del numero di guardiani – della merce, della sua circolazione e dei suoi indispensabili consumatori – sottolinea del resto la debolezza di un sistema obbligato a un controllo capillare dei gesti e dei comportamenti.
Dalle telecamere disseminate dappertutto ai muscolosi men in black che sorvegliano le entrate del tempio, passando per i controllori travestiti da consumatori e per le liturgie di pagamento sempre più complesse (per limitare le frodi e i furti, del resto preventivamente contabilizzati nel prezzo), si disegna irresistibilmente un’involontaria pubblicità negativa che invita gli esseri ancora vivi a un sabotaggio gioioso e salutare della merce che li soffoca.
Nell’attesa che la gratuità ristabilita renda finalmente ridicola ogni appropriazione illegittima, la privatizzazione generalizzata e redditizia di qualunque manifestazione di vita nel trionfo degli affari ha banalizzato il furto come un momento di business. Essa ha svuotato la morale cristiana di gran parte del suo senso di colpa necessario. Il settimo comandamento si riduce dunque a un articolo del codice penale, inapplicabile ai potenti e temibile per i deboli o per gli affaristi caduti in disgrazia.
Tutti i cittadini possono rendersi conto che lo stesso mondo che persegue senza pietà il minimo errore, il minimo strappo alle regole dell’economia da parte di un povero individuo qualunque, permette contemporaneamente tutti i trucchi a coloro che manipolano la finanza e gestiscono i profitti dell’economia, arricchendosi di passaggio a vantaggio del profitto stesso. Una logica mafiosa, grossolana e senza scrupoli, appoggiata sul controllo di un alto livello di tecnologia industriale, s’impadronisce del pianeta intero, ormai sottomesso a ogni aggressione capace di apportare un qualunque profitto.

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