Il diritto alla città non può concepirsi come un semplice diritto di visita o di ritorno verso le città industriali. Non può formularsi che come diritto alla vita urbana, trasformata, rinnovata.
Qui all’interno di queste scenografie noi abitiamo. Siamo gli attori mai protagonisti. Siamo gli oggetti di città resi merci, costruite su necessità e organigrammi estranee alla necessità e alle richieste di chi abita la città. Lo spazio metropolitano è ambito estensivo per territorializzazioni e continue deterritorializzazioni, per prassi di sfruttamento e speculazioni stabilite dunque oltre le dinamiche di vita comunitaria. In questa realtà contemporanea il concetto lefebvriano di diritto alla città scopre nuove e più agguerrite rilevanze. Diviene motto o piuttosto si trasforma in azione operativa e funzionale per la rivendicazione del concreto e dell’organico diritto alla vita urbana. Un abitare attivo quindi che per Lefebvre deve rendersi incisivo attraverso l’appropriazione diretta di tempo e spazio, perché l’inalienabile diritto all’uso del territorio della città è relativo alle necessità collettive di partecipazione alla vita quotidiana. Tramite la riattivazione, o meglio la corretta interpretazione, di tale evidente e necessaria istanza si costruisce lo strumento odierno di lotta e opposizione di consistenza contro il potere della globalizzazione neoliberale che sostituisce al valore d’uso il valore economico di mercato che minimizza, quando non elimina, la funzione sociale dello spazio urbano.
Reclamiamo ed esercitiamo il diretto fare uso del territorio urbano attraverso dunque strategie di intromissione che si traducono in effetti di ricreazione dello spazio esistente per definire e concretamente produrre nuove configurazioni di socialità, si costruiscono forme di guerriglia urbana che sin dagli anni ottanta hanno attivato processi di ri-appropriazione e modificazione di architetture e settori ormai inattivi dei nostri quartieri.
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