Ma quando la miseria astante si riconosce come classe, lo specchio è spezzato: sotto la liturgia della consumazione rimbomba la minaccia del ferro e del fuoco. Perché la minaccia non si materializzi, non diventi il ferro e il fuoco, occorre che il sacrificio perda la sua trascendenza, occorre un’eucarestia che distribuisca l’agnello che socializzi l’espiazione: occorre che il sacrificio si spieghi.
La democrazia borghese, così come tutti i centralismi democratici, non sono altro che questo: eucarestia del dominio, introiezione in ciascuno della figura parcellizzata del dominio, spiegazione (cioè razionalizzazione)del sacrificio (cioè dell’alienazione); liturgia del sacrificio necessario nella grazia (cioè nella responsabilità d’esser schiavi) del ruolo; catechismo della coscienza del ruolo contro la tentazione demoniaca del rifiuto radicale del sacrificio (cioè contro la coscienza di classe e la volontà di negazione totale dell’esistente). Perché l’operazione possa aver luogo, occorre che il potere stesso perda la sua visibilità pura, occorre cioè che si mostri come immagine e somiglianza di ciò che vuole riprodurre identico a sé: mera funzione anonima, macchina, potere senza volto, ragione totalitaria degli insiemi separati: beati i poveri di spirito perché di essi sarà il regno delle cose.
Moltiplicando la violenza attraverso la mediazione del mercato, l’economia borghese ha moltiplicato anche i propri beni e le proprie forze al punto che non c’è più bisogno per amministrarle, non solo dei re, ma neppure dei borghesi, semplicemente di tutti. Essi apprendono, dal potere delle cose, a fare infine a meno del potere.
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