Due riflessioni, per mostrare la sostanziale insensatezza ed inutilità della scuola così come è organizzata oggi. A cominciare dagli spazi e dai tempi. Le aule scolastiche, per lo più asettiche e fatiscenti, sono organizzate in funzione della mera trasmissione di informazioni dal docente agli studenti, oltre che delle necessità di sorveglianza e di controllo che fanno aggio sulla possibilità di confronto autentico e di comunicazione aperta. È una organizzazione degli spazi che da gran tempo la riflessione pedagogica considera inadeguata ai fini educativi della scuola e che tuttavia sfida i decenni e non pare porre alcun problema a insegnanti, genitori, ministri. La stessa rigidità caratterizza i tempi scolastici, che organizzano la vita dell’istituzione secondo logiche che rispondono ad esigenze di organizzazione razionale, più che ai bisogni degli studenti. Più grave è la rigidità mentale che la scuola trasmette e crea negli studenti. Attraverso il sapere, il mondo, che è complesso e interconnesso, viene fatto a pezzi e ricomposto secondo i criteri di una razionalità lineare che semplifica, ordina, astrae: e tenta di dominare una natura che ha separato dall’uomo come l’oggetto conosciuto dal soggetto conoscente. E’ una conoscenza codificata e sintetizzata nei manuali di testo, che offrono agli studenti una visione del mondo già confezionata, alla quale non resta che adeguarsi. Chi non si adegua è condannato all’insuccesso scolastico. Il quale è un male che va curato con la ripetuta somministrazione di quello stesso insegnamento che ha fallito una prima volta. Che il recupero consista “nella ulteriore, prolungata esposizione al medesimo stimolo” è uno dei «postulati occulti» della scuola. È facile constatarlo. Vi sono scuole che registrano da anni un livello altissimo di insufficienze in alcune classi, e tuttavia non avvertono la necessità di apportare il minimo cambiamento nella didattica: lo studente che non ottiene gli obiettivi viene respinto, e se ciò non dà i risultati sperati, lo si respinge una volta ancora. Il principio è che lo stimolo, è indiscutibile; ciò che va messo in discussione è il suo destinatario. In qualsiasi altro campo, un ripetuto fallimento costringerebbe a rivedere il metodo di lavoro. Non così a scuola. Se si prende qualche provvedimento, è esteriore, non sostanziale. Si potrà, ad esempio, fare un progetto pomeridiano per favorire la motivazione degli studenti meno interessati e con i voti più bassi, lasciando però immutata la didattica al mattino. Il docente che da dieci anni ottiene risultati insoddisfacenti con la metà dei suoi alunni potrà continuare a far lezione senza cambiare nulla (senza che nessuno lo costringa a cambiare nulla: non è escluso, anzi, che molti lo apprezzino per il suo rigore), ma i suoi alunni peggiori potranno fare un corso di teatro o di danza per provare meno risentimento nei confronti della scuola. Con risultati facilmente immaginabili.
D'altra parte, non si educa integralmente una persona disciplinando la sua intelligenza, ma trascurando il cuore e relegando la volontà. La persona, nell'unità del suo funzionalismo cerebrale, è un complesso; presenta vari aspetti fondamentali; è una energia che osserva, un'emozione che rifiuta o accetta la comprensione e una volontà che cristallizza in azioni quanto percepisce e ama.
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