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giovedì 19 gennaio 2017

Creare comunità autonome

Il termine rivoluzione ha perso inesorabilmente di importanza nell'uso ordinario, al punto che adesso può significare qualsiasi cosa. Ormai abbiamo una rivoluzione ogni settimana: rivoluzioni nei servizi di credito, rivoluzioni cibernetiche, rivoluzioni mediche, una rivoluzione su internet ogni volta che qualcuno inventa un software più intelligente.
Una retorica del genere è possibile soltanto perché la definizione comune di rivoluzione ha sempre implicato l'idea di un cambiamento di paradigma: un 'interruzione netta, una rottura fondamentale nella natura della realtà sociale in seguito alla quale la realtà funziona diversamente e le categorie invalse non più valide. 
Cosa sarà allora la rivoluzione? Una rivoluzione di dimensioni mondiali avrà bisogno di molto tempo. Ma forse è già in corso. La maniera migliore per rendersene conto è smettere di pensare alla rivoluzione come ad una cosa - la rivoluzione, il grande cataclisma, il punto di rottura - e chiedersi invece: "che cosa è un'azione rivoluzionaria?". Ecco la nostra risposta: una azione rivoluzionaria è qualsiasi azione collettiva che affronti e respinga una qualche forma di dominio e di potere, e che nel frattempo, alla luce di questo processo, ricostituisca nuove relazioni sociali, anche all'interno della collettività. L'azione rivoluzionaria non si propone necessariamente di rovesciare i governi. Ad esempio, sarebbe un atto di per se rivoluzionario il tentativo di creare delle comunità autonome nei confronti del potere (con le parole di Castoriadis, comunità che si autoistituiscono, decidendo collettivamente le proprie regole e i propri principi operativi e riesaminandoli costantemente). E la storia ci insegna che la continua accumulazione di atti di questo tipo può cambiare (quasi) qualsiasi sitiazione.

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