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giovedì 5 gennaio 2017

L’anarchismo religioso

“Per secoli ci hanno insegnato ad interpretare tutto quanto in termini religiosi e questo ha creato una condizione di miseria per tutti noi. E più continuate a interpretare le cose in termini di religione, più aggiungete miseria alla vostra vita” (UG  Krishnamurti)
 La maggior parte dei maestri religiosi trascorrono il loro tempo nel tentativo di dimostrare l’indimostrato con l’indimostrabile. Questo è una dei tanti irresistibili aforismi provocatori che fecero la fama e anche la sfortuna di Oscar Wilde. Non ci sarebbe da stupirsi se UG  Krishnamurti avesse sottoscritto una simile definizione. Aggiungiamo allora in chiusura del pensiero, una riflessione. È una forma di eresia totale, quella di UG Krishnamurti, come nel caso di 
Giordano Bruno o di Spinoza? La parola ‘eresia’ è stata coniata per indicare la diffusione di idee erronee e pericolose all’interno di un comune sentire religioso. Il termine indica già condanna e persecuzione, e nelle poche lettere che danno corpo alla parola sentiamo salire il fumo dei roghi. Ma, volendo approfondire, il significato originario della parola ‘eresia’ vuol dire ‘scelta’. E tale scelta non è l’opposto di quella domanda di senso radicale presente anche in tanti percorsi religiosi, in quel cammino di ricerca che decide di rinnovarsi costantemente, con una messa in gioco, attraverso tentativi ed errori, senza imitazioni, ripetizioni o formalismi. C’è una forbice che stringe religione ed eresia, norma e trasgressione, che sa confrontarsi con aperture e rotture di orizzonti. Qui sta il senso dell’anarchismo religioso: da un lato il rifiuto del principio di autorità e di comando, che rigetta un’autorità imposta, estranea, statica e arbitraria, fonte essa stessa di ingiustizie, disordine e violenza; dall’altro la tensione verso un ordine con una fisionomia ben differente: intrinsecamente dinamico, organico, scaturito dalla capacità autentica di “essere lampada a sé stessi”.

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