A essere presa di mira è la borghesia, con tutte le sue ipocrisie e superficialità, ma coinvolgendo solo in parte i personaggi di finzione. Sì, perché la cosa più straniante di questo film non è tanto la trama, già abbastanza claustrofobica e malata di suo, ma il fatto che i due aguzzini nel loro incessante parlare si rivolgano come se nulla fosse al pubblico, agli spettatori che guarderanno il film fino alla fine. Perché (la tesi del film) l'uomo è un essere violento per natura, una creatura nata dalla violenza e che usa la violenza stessa come mezzo d'espressione. Infatti è il richiamo verso la violenza che ha spinto molta gente a vedere un film che pone la propria trama su un gesto di pura prepotenza animale, ed è proprio il godere di essa in una parte remota del cervello che spinge, nonostante l'ansia e lo schifo di certi momenti, a visionare il tutto fino alla fine.
La rappresentazione della violenza, da sempre chiave del cinema del regista austriaco, è sicuramente quella che fa più discutere: così accurata, efferata, estrema quanto insensata, insoluta. Gli stessi due aguzzini prendono in giro la povera
famiglia fornendo varie motivazioni "ufficiali" (contesto disagiato, droga) al perché del loro gesto: la realtà è che tale domanda è destinata a rimanere senza risposta, generando nello spettatore un'ansia e un malessere tipico delle visioni hanekiane (laddove la violenza rimane sempre senza risposta: c'è e basta).
La critica al modello hollywoodiano e alla spettacolarizzazione della violenza che genera assuefazione (e quindi indifferenza, la stessa dei due delinquenti protagonisti del film) è quindi ampiamente riuscita.
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