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giovedì 7 dicembre 2017

FUNNY GAMES di Michael Haneke

Due giovani dall’aria distinta e dal comportamento gentile penetrano nella casa di vacanza sul lago di una famiglia padre, madre, figlioletto e cane della borghesia medio-alta. La prendono in ostaggio e, così per gioco, li picchiano, li torturano e li mettono a morte. Un viaggio quasi insostenibile nell’incubo della violenza allo stato puro con i due ragazzi killer che sembrano una copia di comici efferati. Eliminando qualsiasi spiegazione e non facendo vedere una sola goccia di sangue, il regista sceneggiatore porta a galla il rimosso del non mostrabile e impedisce allo spettatore qualsiasi scappatoia. Un horror da salotto borghese glaciale, implacabile senza autocompiacimenti intellettuali, uno dei film più controversi, fastidiosamente ripugnanti e ambiguamente morali degli ultimi anni.
A essere presa di mira è la borghesia, con tutte le sue ipocrisie e superficialità, ma coinvolgendo solo in parte i personaggi di finzione. Sì, perché la cosa più straniante di questo film non è tanto la trama, già abbastanza claustrofobica e malata di suo, ma il fatto che i due aguzzini nel loro incessante parlare si rivolgano come se nulla fosse al pubblico, agli spettatori che guarderanno il film fino alla fine. Perché (la tesi del film) l'uomo è un essere violento per natura, una creatura nata dalla violenza e che usa la violenza stessa come mezzo d'espressione. Infatti è il richiamo verso la violenza che ha spinto molta gente a vedere un film che pone la propria trama su un gesto di pura prepotenza animale, ed è proprio il godere di essa in una parte remota del cervello che spinge, nonostante l'ansia e lo schifo di certi momenti, a visionare il tutto fino alla fine. 
La rappresentazione della violenza, da sempre chiave del cinema del regista austriaco, è sicuramente quella che fa più discutere: così accurata, efferata, estrema quanto insensata, insoluta. Gli stessi due aguzzini prendono in giro la povera
famiglia fornendo varie motivazioni "ufficiali" (contesto disagiato, droga) al perché del loro gesto: la realtà è che tale domanda è destinata a rimanere senza risposta, generando nello spettatore un'ansia e un malessere tipico delle visioni hanekiane (laddove la violenza rimane sempre senza risposta: c'è e basta).
Interessanti inoltre altre scelte stilistiche di Haneke, tra cui: i modi gentili e gli abiti bianchissimi dei cattivi di turno (così il regista si scaglia nuovamente contro l’audience borghese, mostrando come i comportamenti schizzati degli assassini non siano dovuti ad alcuna motivazione socio-psicologica quando semmai alla noia di un’esistenza vuota e dorata); l’atmosfera rarefatta e fredda che si respira per tutta la pellicola, nella quale vige un’assenza quasi totale di pathos drammatico; il piano sequenza con cui Haneke immortala la disperazione dei poveri Georg e Ann dopo che gli assalitori hanno abbandonato momentaneamente la casa; la colonna sonora bizzarra che alterna musica classica allo sperimentalismo estremo dei Naked City di John Zorn.
La critica al modello hollywoodiano e alla spettacolarizzazione della violenza che genera assuefazione (e quindi indifferenza, la stessa dei due delinquenti protagonisti del film) è quindi ampiamente riuscita.

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