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giovedì 19 luglio 2018

Il ’68 … Le Comuni (Capitolo XXIX)

Nelle occupazioni delle università immaginazione, sessualità, politica si esprimono fuori dagli schemi che regolamentano la famiglia e i gruppi di appartenenza sociale e religiosa. La vita quotidiana si dilata travolgendo abitudini e difese: i giovani vivono un tempo denso di eventi che appartiene ad una intera collettività. L’esperienza vivifica la critica teorica che ha disvelato la natura autoritaria della famiglia, luogo in cui si scambiano ruoli ossificati, e stimola la voglia di vivere in gruppo anche fuori dalle università.
Nelle comuni del ’68 confluiscono l’esperienza delle comunità hippie e delle aggregazioni religiose, cristiane e orientali, nate qualche anno prima. Con esse il movimento sperimenta aggregazioni familiari più ampie non repressive e tenta di
prefigurare la nuova società per la quale sta lottando. Il senso della proprietà di persone ed oggetti viene messo in discussione, si cerca di vivere senza competizione sviluppando solidarietà e cooperazione.
Se la famiglia è il luogo della necessità che immobilizza i suoi membri la comune è vissuta come libertà salvatrice: i rapporti possono essere autentici perché si vive con compagni scelti e gli affetti e i rapporti sessuali sono patti rescindibili in ogni momento tra persone non legate da dipendenza coatta.
La comune è dunque uno spazio entro cui può crescere un progetto di vita personale più ricco di senso e di relazioni, dove il tempo non è scandito da abitudini mortifere. Il bisogno di esprimere la propria personalità in un contesto ampio che superi l’isolamento della famiglia borghese si salda con lo slancio utopistico che vuole dimostrare la possibilità di instaurare rapporti liberi e solidali, senza attendere il Paradiso o la realizzazione del socialismo. La comune diventa allora comunità esemplare, embrione della Nuova Società.

Tra il 1965 e il 1973 ne nascono più di duemila comuni. Raccolgono il messaggio dei socialisti utopistici dell’800 – Fourier, Saint Simon, Owen – e suggestioni contemporanee assai diverse tra loro, come i kibbutz israeliani e le comuni agricole cinesi. Negli Stati Uniti, soprattutto in California e nel New England, e in Nord Europa si occupano case sfitte, a volte interi quartieri, fabbriche abbandonate vengono riattate, ettari di terra ospitano comunità variopinte. Il fenomeno arriva anche in Italia ma in forme più moderate. L’espansione si arresta a metà degli anni ’70. Per contraddizioni interne e mutamenti esterni. Si scopre la difficoltà di conciliare nella vita quotidiana esigenze personali e responsabilità collettive, che i ruoli sono duri a morire, che vivere in comune richiede attenzione intensa ed impegno costante. Fuori è cambiato il clima politico. Spazi sociali si chiudono, tornano prepotenti valori che esaltano competizione, la famiglia nucleare riprende fiato e ruolo. Molte comuni resistono altre si trasformano. Il neo – femminismo ne rompe parecchie ma ne fonda di nuove, tutte donne e bambini. 
Dalla metà degli anni ’80 arrivano i Punk, gli Squatters e le case occupate, ma questa e tutta un’altra storia. 

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