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giovedì 6 settembre 2018

Il ’68 … Il Movimento*** (Capitolo XXXVI)

La ricerca che si svolge all’Università italiana non è ricerca ma è, specie nelle facoltà umanistiche, una dimostrazione accademica delle teorie dei «santi protettori», delle tesi di certe scuole ormai affermate, di dottrine che godono di tanto maggior prestigio quanto più sono conformiste e stereotipe. Ogni rivista pubblicata dagli istituti contiene articoli in cui si discutevano gli articoli pubblicati dalla prima rivista. Le pubblicazioni valevoli per il conseguimento di titoli accademici il più delle volte non sono che raccolte di detti articoli. Il circuito si chiude. La ricerca, ricerca se stessa, e le facoltà umanistiche diventano una torre di avorio completamente isolata dalla problematica culturale e politica del resto del mondo.
Le commissioni di studio come strumento di contestazione del potere accademico citato in G. Viale, Contro l’università
A Trento, il modo di vita era diverso da quello di tutte le altre università italiane. La comunità studentesca si era dilatata sull’intera città trasformandola in una specie di campus americano! Cioè un vero e proprio «campo di concentramento» per studenti e professori. Come ogni ghetto, da una parte segrega e dall’altra rinsalda i legami di solidarietà. Ma gli aspetti positivi finivano per prevalere su quelli negativi. La vita si svolgeva in un universo cncentrazionale molto ristretto: l’università ad un passo dal Duomo a sua volta ad un passo dal bar. Due passi per arrivare alla questura e quattro ci dividevano dalle fabbriche. Scoprimmo che il personale è politico perché eravamo costretti a stare sempre insieme anche al di fuori dell’università: nelle piazze, nelle strade, nei bar, negli appartamenti comunitari. […] Come in ogni ghetto anche qui c’era il rischio di totalizzare tutte le fasi dell’esistenza quotidiana perché si finiva per stare troppo insieme e per abolire ogni forma di privacy. Ogni appartamento era diventato un prolungamento dell’assemblea, oppure l’assemblea il prolungamento della vita in comune che si faceva fuori dall’università. 
A.Ricci, I giovani non sono piante    

È inevitabile che il discorso che noi portiamo avanti si collochi al di fuori della logica dei partiti. Innanzitutto per la carica eversiva che scaturisce da una contestazione violenta che mette in crisi una delle strutture portanti della società: la scuola. In secondo luogo, ci poniamo al di fuori del dibattito politico tra i partiti perché abbiamo rifiutato ogni ipoteca ideologica e ci dedichiamo a un lavoro di mobilitazione di massa. Noi contestiamo la società partendo da una struttura ben definita, nella quale siamo inseriti. Invece il tipo di scontro che avviene tra i partiti è essenzialmente ideologico, astratto: avviene al di fuori di ogni movimento, studentesco o operaio, capace comunque di dare concretezza al dibattito.
Studenti di Palazzo Campana Tavola rotonda sui ribelli di oggi e i goliardi di ieri
Gli studenti hanno smesso di chiedere materie diverse e hanno cominciato autonomamente a prendere coscienza dei compiti politici della loro lotta […]. Lo sciopero si è esteso a Pontedera, a Cascina, a Viareggio, a Livorno, a Massa, a Carrara, a Lucca, agli insegnanti; le masse studentesche hanno riaffermato il loro diritto ad usare i locali scolastici per i loro fini, rioccupando per tutto il tempo necessario i locali universitari e portando avanti la loro linea. Intanto la lotta cresce, in modo collegato, nel resto d’Italia a Torino, a Lecce, a Firenze, a Padova, ecc.
Registri e manganelli, in «Il Potere Operaio», n. 9

L’ideologia non incontra mai il proprio nemico. Entrambi vivono in una «realtà separata». Per questo ha continuamente bisogno di simboli: per rappresentare se stessa come per individuare l’avversario. La lotta antiautoritaria non si erige a sistema – o non lo fa al suo inizio – ma non le viene mai meno qualcosa o qualcuno contro cui combattere nella concretezza della vita quotidiana.
G. Viale, Il Sessantotto. Tra rivoluzione e restaurazione

Non ci siamo rifatti a un unico modello culturale, né la nostra azione è impostata, secondo precisi riferimenti ideologici. D’altronde le ideologie si sono ridotte a un insieme astratto di enunciazioni, di valori che prescindono dalla realtà sociale in cui impiantare una certa azione […]. L’originalità del movimento [è] la metodologia dell’azione, i nessi concreti con la struttura all’interno della quale agiamo.
La contestazione permanente

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