Il Palazzo Moresco, voce di Carmelo Bene che annuncia un'autobiografia, musica di Musorgskij. Le immagini si deformano e si intersecano con quelle della Cattedrale di Otranto, nella cappella ossario dove sono conservate le ossa di duecentosessanta martiri. Come loro, il protagonista avrà ancora il teschio coperto di carne tanti secoli dopo la morte? E gli occhi? Oggetti senza senso ma non insignificanti, gesti di un "(sono) io" che è difficile decifrare. Un doppio, più doppi, un gangster. Compare il primo personaggio femminile, la serva-bambina. Voli impossibili da un balcone che si affaccia sul mare: cadute, letteralmente. Brindisi al proprio riflesso distorto. Vocazione al martirio e primi amori, inginocchiati. Ancora la sua voce implicitamente ironica: l'invasione di Otranto da parte dei tur(isti)chi. Colori in libertà, una lettera al Ministero del Turismo e dello Spettacolo. Gli oggetti sono ostacoli. Presto apparirà Santa Margherita e Arnoldo Foà recita García Lorca. Giunge la Santa che seduce il protagonista, lui resiste, poi cede, lei adesso fuma e legge la rivista "Annabella". Lui si agita nel vuoto, ferito e bendato, mima gli oggetti, li interpreta e vi si trasforma. Piazza di
Santa Cesarea Terme: interni ed esterni tendono a confondersi. L'idiozia inizia a manifestarsi, si chiudono i cassetti e si inchiodano le finestre e le porte. Una serva, un editore preoccupato di utili e perdite, ancora le ferite (del protagonista come della pellicola) e un funerale, quello della Madonna. Quindi il morto è lui, finalmente guarito. Altri doppi, due frati, una gita in barca con la Santa. Adesso il protagonista è un cavaliere in armatura, la serva e la Santa si scambiano impressioni, quest'ultima sta perdendo l'amore e si cristallizza, mentre il protagonista afasico si addormenta o muore.
Il cinema si allontana.
Carmelo Bene, personaggio estremamente eccentrico, uomo di teatro e regista dai caratteri unici, Carmelo Bene è stato insieme irriverente eppure colto nella scelta dei modelli prescelti. Estremamente provocatorio verso il pubblico e la critica, nell'usare il medium teatrale, cinematografico, e infine televisivo, è stato capace di strutturare un sistema estetico e filosofico del tutto coerente. Inoltre, elettivamente anti-tragico, in lui è stata dominante la negazione dell'eroismo
nella sua declinazione italica, che da sempre è dominata da un quiescente patetismo. Nel rapportarsi allora con la tradizione, la storia patria, ma anche quella coeva, la vena distruttiva prevale, utilizzando la diffusa irrisione dei miti passati e presenti, come forma costante di problematizzazione della realtà circostante.
"Nostra Signora dei turchi", ovvero della dissipazione del soggetto nella totale perdita di senso.
Film a basso costo, privo di tradizionale sceneggiatura e inizialmente girato in 16mm (poi gonfiato in 35mm presso la Microstampa), "Nostra Signora dei turchi" era originariamente scaturito dal progetto di creare tre cortometraggi nel Salento. La prima versione prevedeva una durata di 160 minuti, ma quella attualmente in circolazione deriva dalla sua riduzione (125') per la XXIX Mostra del Cinema di Venezia (in cui ha vinto il Premio speciale della giuria). Il soggetto, sempre a opera di Bene, è stato concepito dall'autore in diverse varianti, una letteraria, una filmica e due teatrali (quella messa in scena nel 1966 e quella del 1973).
Nella prima metà del film lo stupore spalanca la bocca e diverte, nella seconda metà bisogna effettivamente legarsi alla sedia per resistere, nella consapevolezza che se è stata coniata l’espressione “ne valeva la pena” è perché le cose troppo facili non danno la stessa soddisfazione.
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