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giovedì 11 ottobre 2018

Il ’68 … Messico ottobre 1968 (Capitolo XLI)

La mattina del 3 ottobre 1968, la piazza Tlateloco, a Città del Messico, era ricoperta di centinaia di morti. Studenti quasi tutti, ma anche donne, bambini. Accerchiati e abbattuti come piccioni con le mitragliatrici pesanti dalle truppe del presidente Gustavo Diaz Ortaz, che tiravano dai tetti del ministero degli esteri e dagli elicotteri. “C’era molto, molto sangue” racconta la madre di uno studente che stava fra le centinaia di migliaia intrappolati nella piazza, “a tal punto che sentivo le mani vischiose di sangue. C’era anche sangue sulle pareti. Credo che i muri di Tlateloco fossero intrisi di sangue. Tutta Tlateloco trasudava sangue. I cadaveri giacevano sul selciato di cemento aspettando che li portassero via. Io ne ho contati molto dalla finestra, almeno sessantotto. Li ammonticchiavano sotto la pioggia …
La strage degli studenti di piazza delle Tre Culture fu il momento più alto e più tragico del ’68 messicano. Oggi la si ricorda come “la noche triste”.
La scintilla che fece esplodere il ’68 a Città del Messico fu come sovente accade per i grandi incendi, minore. Il 22 luglio scoppia una bagarre fra studenti di due licei rivali che si contendevano una ragazza.  Intervennero i granaderos, il corrispettivo dei carabinieri, con la solita selvaggia brutalità. Una settimana dopo Messico era in fiamme. Era stato fra l’altro violato uno dei sacri principi della “democrazia” messicana; l’autonomia della università e delle scuole, da sempre considerati luoghi franchi dove polizia ed esercito non potevano intervenire. Il 30 luglio l’esercito, nel frattempo chiamato a sistemare le cose dal presidente Diaz Ortaz, investì a colpi di bazooka
l’Università nazionale autonoma. Si costituirono comitati di lotta, poi un Comitato Nazionale di sciopero formato prima da studenti poi da studenti e professori. Caddero i primi morti. Dalla fine di luglio tutte le scuole e università della capitale erano chiuse, occupate, in sciopero. Il Comitato presentò una lista di sei richieste al governo: liberazione di tutti i detenuti politici, scioglimento dei granaderos, dimissioni del capo della polizia, risarcimento alle famiglie delle vittime della repressione, inchiesta e punizione per i responsabili dell’aggressione, abrogazione dei due articoli del codice penale che prevedevano il delitto di “pubblico disordine”. 
Il 18 settembre l’esercito espugna il campus dell’Università autonoma, il rettore Javier Barros Sierra, protesta e si dimette. Gli arresti fra studenti e professori si contano a centinaia sulla base dell’accusa di “attività antisociali e probabilmente criminali”. L’inglese Daily Telegraph  scrive che essi hanno ormai tutte le apparenze di una guerra civile in piena regola.
Nella notte fra il 2 e 3 ottobre gli studenti convergono verso piazza delle Tre Culture per chiedere il ritiro dei soldati dal Politecnico, anch’esso occupato manu militari. “A Tlateloco piazza che fu la tomba di indios e conquistadores, si chiude la trappola. L’esercito blocca tutte le uscite con carri e mitragliatrici. Sullo spiazzo, pronti al sacrificio si accalcano gli studenti. Chiude la morsa un muro compatto di fucili con la baionetta innestata. Le luci di bengala, uno verde e uno rosso, danno il segnale”.
Il ministro della difesa parlerà di “franchi tiratori” che hanno cominciato a sparare dalle finestre del ministero degli esteri e dell’opera di “agitatori professionali” che hanno costretto l’esercito a reagire. Ma l’inviato del New York Times scriverà che le truppe hanno preso a sparare su quella che era stata una pacifica manifestazione degli studenti nella piazza.   
(Non si conosce il numero esatto delle vittime. Nonostante le cifre fornite da fonti al momento della strage, il governo parlò di 34 morti, ma le stime più attendibili indicano oltre 300 le vittime. Nel secolo XVI Tlatelolco era già stato luogo di un massacro compiuto dai conquistadores spagnoli e i loro alleati indigeni contro gli aztechi il 13 agosto 1521, durante il quale vennero uccise circa 40.000 persone, decretando de facto la fine della civiltà azteca e il termine della guerra di conquista spagnola).

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