La molotov, il simbolo delle rivolte di piazza per eccellenza, l’equivalente nel XX secolo delle barricate ottocentesche. Nata come arma di guerra, ma poi adottata in tutti i paesi del mondo negli scontri con la polizia. Nell’Italia del ’68, la bottiglia molotov era ancora poco usata. Non compare quasi nei primi incidenti, almeno fino agli scontri in Campo de’ Fiori, alla fine di maggio, anche grazie alle suggestioni di Parigi. Anche se poco adoperata, la molotov comunque era già finita in tribunale. Nell’ultimo numero mensile della rivista trotskista La sinistra, del novembre – dicembre 1967, diretta da Lucio Colletti, un’illustrazione, tratta dalla rivista New York review of books, che accompagnava un lungo articolo sul black power, conteneva le indicazioni per la costruzione di una bottiglia incendiaria, famigliarmente chiamata molotov, dal nome del braccio destro di Stalin. Il fatto passò inosservato fino al marzo del 1968, quando la stessa rivista, divenuta settimanale e diretta da Silverio Corvisieri, pubblicò la stessa immagine della bottiglia incendiaria in prima pagina, di spalla, con i componenti tradotti in italiano. Sotto il titolo: Così in piazza; e accanto l’invito alla mobilitazione studentesca, dopo gli scontri tra movimento studentesco e polizia a Valle Giulia e in vista dell’annunciato ritorno dei fascisti del Fuan nell’università di Roma.
La molotov fu usata ampiamente dai russi nella seconda guerra mondiale per fermare i nazisti. Era un arma di disturbo rudimentale, poco efficiente, ma circondata dal mito sovietico di aver fermato in molte occasioni i potenti carri armati tigre. Da allora era stata presente in molte azioni di guerriglia urbana. Era stata ampiamente usata dagli algerini nella guerra di liberazione contro i francesi; come dai militanti neri americani negli scontri razziali del 1967.
La pubblicazione del disegno della molotov in prima pagina fu spiegata come un contributo al dibattito all’interno dei coordinamenti studenteschi sull’uso della violenza per la difesa delle manifestazioni del movimento, dopo che molti cortei erano stati attaccati di sorpresa dalla polizia. Infatti, nel paginone centrale de La sinistra erano illustrati i vari mezzi di autodifesa che il movimento degli studenti nel caso poteva usare. Accanto alle pietre, ai bastoni, alle barricate, c’è in piccolo pezzo di storia delle molotov, descritto come “la regina della difesa violenta”.
Nello stesso giorno di uscita della rivista, a Roma ci furono violenti scontri nella città universitaria tra il movimento studentesco e i fascisti del Fuan che avevano occupato la facoltà di Giurisprudenza. Il giorno dopo, nell’editoriale del quotidiano romano Il Messaggero, La sinistra fu citata, con un invito alla magistratura a prenderne visione in quanto si sarebbe trattato di una esortazione di violenza; mentre nelle pagine interne di cronaca un corsivo parlava di “scuola di terrorismo”. Il direttore della rivista, Silverio Corvisieri, fu denunciato dalla magistratura.
Tra il ’69 e ’70 le “bocce” cominciarono comunque a essere usate sempre più frequentemente. Non il modello classico, quello illustrato nel numero incriminato di La sinistra, poco sicuro, ma un tipo più sofisticato, congegnato in modo da non basarsi sullo scoppio ma sull’inserimento di acidi nella miscela.
(Il nome "Bomba Molotov" deriva da Vjaceslav Michajlovic Molotov che era ministro degli Esteri e segretario alla Guerra dell'Unione Sovietica.
Il 28 ottobre 1936, i franchisti impiegarono per la prima volta le bottiglie incendiarie contro i carri armati di fabbricazione sovietica T-26 in dotazione all’esercito repubblicano nei dintorni di Toledo. E vista la sua efficacia contro i carri leggeri, l’uso di un tale ordigno si andò generalizzando rapidamente presso entrambi i contendenti.
Ma Il nome di "Molotov" venne utilizzato per la prima volta dai soldati finlandesi per indicare il bersaglio delle bombe incendiarie durante la guerra d’inverno nota anche come guerra russo-finlandese, è un conflitto che fu combattuto tra il 30 novembre 1939 e il 12 marzo 1940 dalla Finlandia e dalla Unione Sovietica (URSS).)
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