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giovedì 3 settembre 2020

Alle origini dell’anarchia parte quinta

Godwin pensa di poter porvi rimedio con l'educazione. Il suo primo scritto politico, del 1784, è il programma della scuola che vuole istituire a Epsom, nel Surrey. La ragione e l'esempio prenderanno il posto dell'autoritarismo: lo annuncia l'opuscolo dal titolo curioso, An Account of the Seminary That Will Be Opened on Monday the Fourth Day of August at Epsom in Surrey. Non fa un solo proselito, e si capisce perché: manca quello che i genitori tradizionalisti vorrebbero trovarvi, ed è invece dichiarata a piene lettere l'opinione dell'autore sulla società: “Lo stato della società i incontestabilmente artificiale; il potere di un uomo su un altro deriva sempre dalla convenzione o dalla conquista; per natura siamo eguali. Ne consegue necessariamente che il governo deve sempre dipendere dall'opinione dei governati. Che i più oppressi cambino una volta il loro modo di pensare, e saranno liberi... Il governo è molto limitato nel suo potere di rendere gli uomini o virtuosi o felici; è solo nell'infanzia della società che può fare qualcosa di considerevole; nella maturità esso può soltanto dirigere alcune delle azioni rivolte all'esterno. Ma le nostre disposizioni morali e il nostro carattere dipendono moltissimo, forse interamente, dall'educazione.”                                                         Qui appaiono già, in embrione, le idee-chiave dell'opera maggiore del Godwin, Enquiry Concerning Political Justice (Ricerca sulla giustizia politica), la prima edizione della quale esce nel 1793, nella scia di proposte sociali nuove originate dalla rivoluzione francese, dopo quasi cinque  anni  di elaborazione. Ma è importante mettere in rilievo come, accanto agli influssi delle idee “di lingua francese”, la prima dichiarazione «politica» del Godwin contenga chiaramente i limiti di tutto un filone dell'anarchismo, che si potrebbe chiamare volontaristico. Una critica materialistica obietterebbe infatti a Godwin che non basta cambiare il modo di pensare per essere liberi, o meglio che non basta volerlo. In realtà il modo di pensare è frutto non solo e non tanto di un'educazione, ma, dirà Karl Marx, discende direttamente dai modi di produzione predominanti in una data situazione storica. E  vero comunque che all'interno di una stessa società si presentano due modi di pensare: quello subordinato al modo di produrre dominante, e quello dell'avanguardia. Quando le condizioni del cambiamento esistono già ma non vengono ancora chiaramente recepite dalle masse, il compito dell'educazione (cioè: delle avanguardie intellettuali) è quello di fare prendere coscienza delle possibilità rivoluzionarie. In questo, anarchismo e marxismo rivelano una profonda differenza, oltre che alcuni punti in comune. In comune è l'atteggiamento di chi si pone come avanguardia, come coscienza critica del  mondo. Ma gli anarchici finiranno per porre l'accento sulla volontà, accusando il marxismo di restare schiavo del determinismo economico (accusa che sarà ripresa anche da a “eretici” del marxismo in polemica soprattutto con i «revisionisti» della socialdemocrazia tedesca). In realtà Marx non nega il peso della volontà individuale, la volontà di cambiare: ma egli la pone in relazione dialettica con le circostanze esterne: “Nell'attività rivoluzionaria il cambiamento di se stessi coincide con la trasformazione delle condizioni esterne”, scrive nel 1845 in L'ideologia tedesca.  Per Godwin, invece, l'importanza dell'educazione è un assoluto. In questo egli discende direttamente dalla pedagogia libertaria del ginevrino Jean-Jacques Rousseau. Alla cattiva educazione, alle superstizioni e all'autoritarismo delle vecchie concezioni pedagogiche è da imputare la cattiva condotta dell'uomo. Godwin lo dice chiaramente: “I vizi dei giovani non derivano dalla natura, che è la madre senza macchia di tutti i suoi figli, ma dai difetti dell'educazione”. 


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