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giovedì 3 settembre 2020

IL GRANDE LEBOWSKI – Joel Coen

Scambiato per il miliardario Lebowski, Jeff viene aggredito dagli scagnozzi del pornografo Jackie Treehorn che gli pisciano sul tappeto. Lui non fa una piega e va dal miliardario per farsi risarcire il danno. Torna a casa pieno di insulti, ma con un tappeto nuovo. Intanto Bunny, moglie del miliardario e attrice porno, è stata rapita da un gruppo di nichilisti tedeschi. Il grande Lebowski chiede allora al suo omonimo di consegnare i soldi del riscatto. Ma Walter, un amico di Jeff recapita invece una valigetta piena di mutande sporche e l'operazione fallisce. Poi la macchina di Jeff con la valigetta viene rubata, il miliardario si vede arrivare a casa un dito mozzato, la casa di Jeff viene fatta a pezzi dagli scagnozzi di Theehorn; la figlia di Lebowski si fa ingravidare da Jeff.. Infine si scopre che Bunny non era mai stata rapita, che lo stesso miliardario, nullatenente, aveva usato una valigetta vuota per il riscatto...    Il Grande Lebowski è la conferma di come un film indipendente sia capace di entrare letteralmente nella storia del cinema. Pellicola nel 1998 diretta dai Fratelli Coen, fu accolta in modo molto pacato, senza particolare entusiasmo. Da molti fu persino definita un’opera minore dei due registi che qualche anno prima avevano conquistato l’Oscar alla miglior sceneggiatura per Fargo. Nel giro di 22 anni il film si è creato un proprio pubblico, ed è riuscito a trovare un proprio posto nell’immensa produzione cinematografica degli anni 90’. È una pellicola divenuta cult grazie al passaparola, scene diventate iconiche nel corso del tempo e personaggi caratterizzati in modo eccellente, tanto da creare una vera e propria religione (il Dudeismo). Siamo davanti ad uno dei lavori più culturalmente significativi dei Coen, che ha impresso il loro modo di fare

cinema nella cultura di massa. La vera firma del duo è la caratterizzazione grottesca e comica dei singoli personaggi: l’artista femminista, il nullafacente pacifista, l’iroso e folle reduce di guerra, la scalatrice sociale. Tutti personaggi che, secondo i Coen, sono parte integrante della Los Angeles che vogliono raccontare. 
Ben supportato da personaggi secondari come le due spalle comiche John Goodman e Steve Buscemi, l’artista “vaginale” Maude/Julianne Moore e il campione di bowling Jesus/John Turturro, Jeff Bridges dà vita a quello che è ancora il suo personaggio più famoso, l’opposto del tipico eroe hollywoodiano tutto improntato all’azione in vista del raggiungimento di un obiettivo: il Drugo è un inetto che si fa trascinare dagli eventi, facendosi continuamente usare e imbrogliare, e tuttavia rimanendo sempre uguale a se stesso. “The Dude abides”: tradotto “il Drugo sa aspettare”, ma più precisamente “il Drugo sta, il Drugo rispetta” lo stato delle cose, con un irresistibile candore. Impossibile non empatizzare con questo antieroe, che piccoli e grandi incidenti della vita (dagli screzi al bowling, a furti, rapimenti, ricatti, persino una morte) ce lo riconsegnano ogni volta in pace col mondo. Tutti i personaggi sembrano funzionali alla satira sociale o alla parodia: c’è il polacco convertito all’ebraismo che considera la guerra in Vietnam la misura di tutte le cose; il narratore/cowboy malinconico che perde il filo del discorso; i fantomatici nichilisti che agiscono goffamente… Drugo sembra essere l’unico cui non importa altro che essere… Drugo. Al termine di un percorso apparentemente fallimentare, questa serena consapevolezza è ciò che rende il Drugo un personaggio a suo modo vincente: non è più intelligente né più ricco, non ha capito quasi niente di ciò che gli è accaduto e quando ha capito non gli è servito a nulla, eppure in lui c’è un’inossidabile positività che lo porta a non curarsi più di tanto del caos della vita, e invece a bearsi di quei pochi, piccoli piaceri che si può concedere. Perché una partita di bowling con gli amici vale più di qualunque “nichilista” che arrivi a scombinarti l’esistenza.



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