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giovedì 4 marzo 2021

Bakunin e i poeti: Nicola Stankevitch

Bakunin non ha più che un desiderio: studiare a Mosca e diventare insegnante di matematica e filosofia. Rompe i legami che lo vincolano all'esercito russo e nel 1835 lo troviamo installato a Tver,  fremente, impaziente di gettarsi a corpo morto in una vita nuova. Alcuni amici di un tempo lo trascinano in uno di quei molteplici circoli che pullulano in tutta la Russia e nei quali i giovani cercano quale senso dare alla loro vita, in questa immensa patria oppressa dallo tzarismo. Quello in cui entra Bakunin, e in cui si formerà Bielinski, l'audace critico, è dominato dalla personalità di Nicola Stankevich, anch'egli poeta-filosofo. Questo pensatore, di un anno più anziano di Michele, scrive poco. La sua influenza si esercita a mezzo di conversazioni, scambi di lettere, l'esempio personale; un atteggiamento che si potrebbe definire socratico. Dotato di una eccezionale dirittura e di una grande bontà, egli esercita su chi l'avvicina un indiscutibile fascino. L'esigente Tolstoj, dopo aver letto la sua corrispondenza, noterà di non aver mai incontrato un essere così puro. Al suo contatto Michele si dedica, con tutta la forza della sua natura appassionata, al perfezionamento di se stesso. Stankevich avrà pochi anni da vivere. Bakunin veglierà sovente al suo capezzale. I loro legami diventeranno molto stretti giacché il poeta chiederà la mano di Ljubov, una sorella di Michele, che malata, morrà ben presto. Quando il poeta scomparirà, in Italia avrà  al suo capezzale un'altra sorella di Michele, Varvara. Bakunin deve  rinunciare ad entrare all'Università di Mosca, essendo troppo difficile il concorso di ammissione. Stankevich gli propone allora di partire con lui per Berlino; in quanto al denaro gli sarebbe bastato avere quello sufficiente per il viaggio. Sul posto egli si incaricherà del suo mantenimento, prelevando la somma necessaria dalla pensione che riceve. Pertanto il periodo moscovita di Bakunin s'incentra su due punti: ottenere da suo padre il denaro per la partenza e prepararsi a ricevere quella conoscenza che Vénévitinov faceva intravvedere e che Stankevich dipingeva come il benessere assoluto. Michele è in procinto di diventare il sacerdote esaltato di questa vita superiore. Tenterà di trascinarvi le sue sorelle, le sue amiche ed i suoi amici. La sua voluminosa corrispondenza ci mostra le tappe di questa lunga marcia verso la  "salvezza". Già il 7 maggio 1835 scrive da Tver: « ...la mano di Dio ha tracciato nel mio  cuore i caratteri sacri che devono plasmare la mia esistenza: Non vivrai solo per  te stesso. Voglio realizzare questo magnifico avvenire. Conto di esserne degno. Essere nella condizione di sacrificare tutto per questo santo scopo, ecco la mia unica ambizione ». Dipinge la vita come un'eterna aspirazione di tutte le  sue parti verso uno scopo che non è altro che Dio, l'idea fondamentale della vita essendo racchiusa nell'amore per l'umanità. L'anno seguente, da Mosca, scrive a Varvara (lettera del marzo 1836): «La mia  anima è tutta amore, mi sento un uomo, percepisco in me il paradiso». Più tardi (lettera, Mosca 6 aprile 1836) ad Alessandrina Beer: «...l'umanità ha Dio come guida e Dio come scopo... »; più tardi ancora (ad Alessandrina Beer, lettera aprile 1836):«grandi tempeste e uragani scuotete la terra, io non vi temo,   vi disprezzo dal momento che sono un uomo! La mia fiera e incrollabile volontà va tranquillamente attraverso tutti i vostri sconvolgimenti, al fine di raggiungere il mio alto destino! Io sono un uomo ed io sarò Dio...» Il che significa per lui ritrovare in se stesso la particella divina devoluta a ciascuno. Se, in seguito, Bakunin non  riconosce l'umanità se non come il prodotto della materia e l'amore  per gli esseri umani se non come l'espressione della dignità degli individui, è tuttavia indispensabile non ignorare il periodo moscovita nel processo della sua formazione morale. Le sue centinaia di lettere, quelle di Bielinski, di Stankevich ci ragguagliano in maniera  inequivocabile. Egli scrive anche « Dio è nella libertà ». E’ in nome di questa libertà che si ostina a voler emancipare la propria sorella  Varvara da un matrimonio sfortunato. Stankevich andrà a curarsi all'estero, Varvara lascerà la Russia, Michele assisterà alla morte di Ljubov e resterà a lottare perché suo padre gli accordi alcune migliaia di rubli, o almeno alcune centinaia. Michele, in quanto figlio  primogenito, è destinato dal costume e dalle leggi sull'eredità a diventare  l'amministratore di Priamouchino. Suo padre, che ha già ceduto per quanto concerne la rottura con la carriera militare, si opporrà finché gli sarà possibile, a questa partenza dalla Russia. Durante quel periodo, Michele scrive ai suoi amici Beer (lettera Mosca nella primavera del 1837): «La mia vita appartiene totalmente all'umanità...». Parla dell'odio come d'una cancrena, della vendetta come d'una decadenza dello spirito. Fa una netta distinzione fra liberalismo e libertà e precisa che l'individuo non è uomo fino a quando non si occupa degli altri. Nel 1840 (marzo,da Mosca) dichiara ai suoi genitori che la vita da lui scelta esige «una totale abnegazione di se. Con queste parole o quasi, termina il periodo moscovita. Per quanto riguarda il denaro, il padre di Michele non ha ceduto, ma Herzen, il pubblicista, è rientrato dall'esilio. Di colpo intuisce l'importanza, per un uomo come Bakunin, di allontanarsi dalla Russia tzarista, ed è lui che fornisce la somma necessaria per questa partenza. Nello stesso periodo, da Roma, Stankevich scrive: «Amico mio!... Tu mi concedi troppo spazio nel tuo processo interiore. Sono io, gli altri o i libri che hanno fatto questo? Sono soltanto dei motivi esteriori; le forze interiori hanno fatto tutto ». Ultima lettera, ultime parole. Quando Michele giunge a Berlino, apprende da sua sorella Varvara che Stankevich è morto. 



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