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giovedì 30 dicembre 2021

Spoliticizzazione delle masse

Il dominio, il potere, nella politica e nella strada, in pace come in guerra, appartiene a chi è meglio equipaggiato tecnicamente. La borghesia è stata sostituita da una classe tecnocratica che non è nata da una rivoluzione antiborghese ma dalla crescente complessità sociale provocata dalla lotta di classe e dall’intervento statale. Sul cammino verso una nuova società basata sull’alta produttività procurata dall’automazione e sull’economia dei servizi, la borghesia si è trasformata in una nuova classe dominante. Questa non si basa sulla proprietà privata o sul denaro, ma sulla competenza e la capacità di gestione; la proprietà e il denaro sono necessari ma non determinanti. La forza della classe dominante non proviene esclusivamente dall’economia, né dalla politica e nemmeno dalla tecnica, ma dalla fusione delle tre in un complesso tecnologico di potere che Mumford chiamò “megamacchina”. Se la tecnica, diventata l’unica forza produttiva, ha permesso il trionfo dell’economia, ora l’economia, creando il mercato mondiale, ha spianato il cammino alla tecnica, e questa impone la dinamica espansiva della produzione di massa al mondo intero. A modo suo ha ridicolizzato la figura dello Stato, degradando la sua storia e il suo ruolo dopo che l’economia lo ha convertito nel padrone più grande e la tecnica lo ha trasformato in un macchinario di governo e di controllo delle masse. Dalla fine del XIX secolo la stabilità del sistema capitalista è stata ottenuta grazie all’intervento dello Stato, che ha messo in atto una politica economica e sociale correttrice. Lo Stato ha smesso di essere una sovrastruttura autonoma per fondersi con l’economia e presentarsi come un terreno neutrale in cui il confronto tra le classi poteva trovare soluzioni. Lo Stato diventava il garante dei miglioramenti sociali, della sicurezza e delle opportunità. Lo Stato “del benessere” fu un’invenzione che assicurava al tempo stesso la rivalorizzazione del capitale e l’acquiescenza delle masse. Al suo interno la politica si trasformava progressivamente in amministrazione, si professionalizzava, si orientava verso la soluzione di questioni tecniche. Quand’anche il regime politico fosse una democrazia, la politica non poteva essere oggetto di discussione pubblica: in quanto esposizione e risoluzione di problemi tecnici richiedeva da un lato un sapere specializzato – era una tecno politica – nelle mani di una burocrazia professionista, e dall’altro un allontanamento – una spoliticizzazione – delle masse. Il progresso tecnico ha ottenuto questa spoliticizzazione. Ha avuto la capacità di isolare l’individuo nella società, circondandolo di marchingegni domestici e immergendolo nella vita privata. D’altra parte, ciascuna tappa del cosiddetto progresso annulla la precedente, sviluppando un dinamismo compulsivo in cui la novità è accettata semplicemente per il fatto di essere una novità e il passato viene relegato all’archeologia. In questo modo crea un continuo presente in cui non succede niente dato che niente ha importanza e in cui gli uomini sono indifferenti.




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