Contrariamente a tutte le aspettative non è il medico ad essere il predestinato, ma bensì il personaggio apparentemente più sordido (anche se non si capisce perché sia tornato a portare le ruote ai due pellegrini da lui derubati senza pietà). Egli era un militare e gradualmente, come tutti coloro che appaiono nel film, si redime, rivivendo il proprio passato in modo da prendere coscienza della condizione di vita delle popolazioni maya oppresse dal potere. Tanto da accettare il ruolo di medico nella leggenda del pueblo, chiamato Cerca del Cielo. Come lui anche il vecchio professore compie una sorta di viaggio iniziatico, che lo porterà ad una morte in pace, sebbene non serena perché convinto di non avere lasciato nulla dietro di sè (mentre in realtà il suo compito era forse di salvare il nuovo medico ex soldato stupratore): il suo cammino prende le mosse da una realtà razzista, quella in cui vive, fino a giungere a vedere con i propri occhi i cimiteri di cadaveri, insepolti per dare un esempio. Come dice il suo unico allievo vivo, egli ha l´intelligenza, ma vive nell´ignoranza, teneva lezioni (nei ricordi in bianco e nero) dove Cortez si intrecciava ai batteri, per stigmatizzare l´ignoranza; ed ora si trova a dover superare la propria: ¨Non sabe lo que pasa¨.
Girato in esterni in Messico, il film, ha il tono di una sincera, convinta denuncia civile contro lo sfruttamento di popolazioni inermi. Una denuncia proposta con modi quasi sommessi, attenta più al dramma umano delle persone che non a quello scopertamente politico. Rinunciando al colore locale, ma non per questo senza connotare l'ambiente, Sayles rinuncia anche alla suggestione dei paesaggi e degli spazi aperti, adottando un tono semidocumentario e uno stile sobrio, "classico", con sequenze fini a se stesse e separate dallo spazio neutro della dissolvenza o del brusco stacco. Il resto è puro e semplice racconto. L’umanità trasmessa dalle immagini di John Sayles è cosa più unica che rara. Questo autentico cineasta indipendente che gira un film americano nel quale verranno pronunciate tre o quattro battute in inglese (il resto, anzi, “il più” è un misto di spagnolo e dialetti indios), è tra i pochissimi a riuscire nell’impresa di realizzare un cinema di denuncia - nel senso più alto e profondo del termine -, eludendo questioni banalmente fattuali, e componendo spaccati umani e sociali di realistica intensità.
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