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giovedì 30 gennaio 2025

L’Anarchia nel XX secolo – Parte LIII

1950 

Nel 1909 lascia il suo Vallese, si arruola in piccole compagnie di buffoni che girano per le campagne scambiando spettacoli con vitto: un palco improvvisato all'aperto, sulla piazza del villaggio, barzellette piccanti per denunciare lo sfruttamento dell'uomo e satireggiare i re e i preti. Clovis ha scolpito un teatro di burattini, che anima lui stesso. Tre anni di nomadismo militante per le strade della Lombardia, che gli servono per imparare a fondo l'italiano e per conoscere la situazione sociale del regno, in cui il popolo si alimenta di polenta, mentre la «pellagra» fa strage. Clovis ne vede da vicino gli effetti a Pavia. Ma conosce anche, sempre più a fondo, la solidarietà dei lavoratori. In memoria di quel duro ma affascinante periodo, chiamerà Pavia una delle sue figlie. Torna nel  Vallese deciso a scuotere il giogo «padronale, governativo e clericale». Vuole «far uscire la politica dalle cantine e dalle sacrestie». Alla vigilia della prima guerra mondiale fonda con un pugno di amici sindacalisti, anarchici e liberi pensatori un piccolo giornale indipendente, stampato nella Stamperia cooperativa delle Unioni operai di Ginevra: "Le Falot", quattro pagine di cui una in italiano, "Il Fanale". Il primo numero esce il 10 maggio 1914, a Vouvry. Per quanto fortemente condizionato dal populismo e dal culto del lavoro tipici dell'epoca, è come un faro di luce improvvisa nelle tenebre del Vallese. Una luce che splenderà per otto anni, nonostante persecuzioni e boicottaggi d'ogni genere da parte delle autorità. Nel 1916  Pignat è imprigionato per due mesi come obiettore politico. Ma lui continua ad agire da internazionalista fervente, denunciando le atrocità del militarismo, le speculazioni e la miseria delle famiglie dei mobilitati. Solido, dolce nei rapporti umani, Clovis resta un inflessibile militante di base. Non vuole «fare carriera», diventare deputato. Collabora a "La Voix du Peuple", organo dei sindacati federalisti della Svizzera romanda, a "Libre Pensée Internationale", alle pagine francesi e italiane del giornale anarchico "Il Risveglio - Le Réveil", animato dal tipografo libertario Luigi Bertoni. La sua conoscenza  dell'italiano lo porta verso la «Muraria», il sindacato diffuso nella Svizzera tedesca che raggruppa soprattutto gli stagionali italiani, muratori e manovali. Il suo principale animatore è Augusto Vuattolo, un vecchio minatore diventato instancabile difensore dei diritti calpestati dei connazionali. Nel 1921 nasce, per iniziativa di sindacalisti tedeschi, la FLEL (Federazione Lavoratori Edilizia e Legno) e, il 21 ottobre  1922, "L'Ouvrier du bois et du batiment", organo ufficiale di lingua francese della FOBB di cui Clovis manterrà la responsabilità, assieme al segretariato romando, fino al 1946. S'affianca intanto a Pignat un giovane libertario, Lucien Tronchet, nato a Ginevra nel 1902. Tronchet ha sedici anni

quando, nel novembre del 1918, la truppa è mobilitata contro lo sciopero generale che paralizza la Svizzera. La truppa spara: morti e feriti tra gli scioperanti. Il giovane Tronchet, come già un tempo il giovane  Pignat, fa la sua scelta: diventerà sindacalista libertario, e come il suo maestro, sarà obiettore  politico quando la guerra mondiale tornerà a insanguinare il mondo. Tronchet andrà a combattere in Spagna nelle formazioni anarchiche, collaborerà con Pignat nell'appoggio alla resistenza italiana antifascista, diverrà nel dopoguerra infaticabile segretario della Camera del lavoro di Ginevra e resterà sempre al fianco dei lavoratori italiani immigrati. Sono Pignat, Augusto Vuattolo e Lucien Tronchet che dirigono l'importante sciopero «selvaggio» scoppiato il 19 maggio 1928, e che termina vittoriosamente dopo 15 giorni di scontri. Per la prima volta nella Svizzera romanda dopo il 1920 gli imprenditori dell'edilizia devono accordare una convenzione collettiva di lavoro, che comprende la riduzione della durata del lavoro, il rispetto degli orari e la fissazione di un minimo salariale. «Selvaggio » perché deciso e attuato dalla base, lo sciopero non riceve alcun appoggio finanziario da parte della Federazione, nonostante le pressioni di Pignat, che deve assumersi la piena responsabilità della lotta. Nell'esistenza di Pignat come del suo discepolo e biografo Lucien Tronchet (che nel 1971 pubblicherà a Losanna Clovis Pignat - Una vocazione sindacale internazionalista)  si possono vedere le caratteristiche di un filone libertario svizzero del nostro secolo, che dalle iniziali posizioni anarchiche evolve via via verso forme d'intervento sociale sempre più all'interno del sindacalismo, e in cui anche l'originaria tensione anarco-sindacalista si stempera in una visione riformistica che pure conserva ancora le vestigia dell'azione diretta e dell'autonomia di base. Si tratta di un «secondo tempo» del sindacalismo, in cui le antiche idee restano come semplice punto di riferimento (sovente retorico), e in cui predomina un empirismo volto alle realizzazioni immediate, legato agli equilibri interni del sistema. 


Essere simbolico alternativo

James Shreeve, alla fine del suo Neandertal Enigma, fornisce una bella illustrazione di un essere simbolico alternativo. Meditando su come avrebbe potuto essere una coscienza originaria, non-simbolica, ci presenta possibilità e differenze significative: ... gli dei del moderno abitano la terra, il bufalo, o il filo d'erba. Lo spirito di Neanderthal era l'animale o il filo d'erba, era la cosa e la sua anima percepite come una singola forza vitale, senza alcun bisogno di distinguerli con nomi diversi. Analogamente, l'assenza di espressioni artistiche non preclude la comprensione degli aspetti estetici del mondo. I Neanderthal non dipingevano sulle loro caverne immagini di animali, ma forse non avevano alcun bisogno di distillare la vita in rappresentazioni, perché le sue essenze erano già rivelate ai loro sensi. La vista di una mandria in corsa era sufficiente a ispirare un improvviso senso di bellezza. Non avevano tamburi né flauti di osso, ma erano in grado di ascoltare i ritmi esplosivi del vento, della terra e dei battiti del cuore degli altri, e di esserne coinvolti.



Il discorso della sopravvivenza

Tutto ciò che oggi si dice, si scrive, si pensa comporta una quantità crescente di cose di nessuna importanza, riguardo alla vita, minacciata da ogni parte, e sempre più presente man mano che declina il dominio delle false apparenze.

Intessuto da millenni sulla trama di una remuneratività di cui il piacere di vivere non sa che farsene, il discorso della sopravvivenza, nello scorso decennio, si è talmente sconnesso che poche parole sfuggono al ridicolo prodotto dal fallimento stesso di ciò che le sosteneva.

A battersi per il capitale in nome del progresso, contro il capitale in nome del proletariato, per la burocrazia in nome della rivoluzione, e incessantemente per la sopravvivenza in nome della vita, ciò che resta dell'umanità del XX secolo, ha conquistato, sul fronte delle forme tradizionali dell'impegno, la sensazione di una incommensurabile stanchezza.

L'ordine assurdo delle cose non sprona certo a dannarsi di fatica per ciò che non serve a nulla, anche se l'inerzia spinge ancora nelle arene dello sfacelo spettacolare qualche gregge politicizzato e gli ultimi cani malefici del potere.

Per me non è una certezza, ma una scommessa, cui ogni istante mi invita a non rinunciare mai, che finalmente dalle ambiguità dell'apatia generale venga fuori una volontà di battersi per creare se stessi armonizzando la società col godimento di sé.



giovedì 23 gennaio 2025

L’Anarchia nel XX secolo – Parte LII

1950 

10 gennaio - Muore in Svizzera Clovis Abel Pignat, alias Tschombine Pategnon. Nato a Vouvry, nel Vallese, nel 1884, Pignat è stato fondatore e animatore della FOBB, la Federazione degli Operai del Legno e dell'Edilizia (Bois et Batiment) nella Svizzera romanda. Figlio di un soffiatore delle vetrerie di Monthey, operaio lui stesso sin da ragazzo, Pignat visse l'altra faccia della belle époque al fianco dei lavoratori. Giovanissimo, era rimasto molto colpito dallo spirito di solidarietà che animava gli operai italiani immigrati. Vecchi reduci dai cantieri del tunnel del Gottardo (iniziato nel 1872 e terminato nel 1880) raccontarono al giovane Clovis delle spaventose condizioni di lavoro. La settimana lavorativa era di 72 ore. Gli operai chiesero una ventilazione migliore nel tunnel e un aumento di 50 centesimi. Il capo dell'impresa, l'ingegner Favre di Ginevra, si rifiutò di trattare e fece occupare i cantieri dalla truppa, che sparò sugli operai italiani: 4 morti, otto feriti. All'ingegner  Favre venne eretta una statua, che si trova ancora oggi sulla piazza delle Alpi a Ginevra. Nel 1899 si ebbe la stessa  situazione nel Vallese, quando gli operai italiani del tunnel del Sempione  chiesero un misero aumento salariale. L'8 novembre, in risposta allo sciopero, i cantieri vennero occupati dall'esercito. Licenziamenti, espulsioni, scioglimento del sindacato: gli operai, terrorizzati, tornarono  al lavoro. Due delegati di Ginevra, Jean Sigg e Calame, ricostituirono clandestinamente il sindacato e il 1° luglio 1901 oltre 1500 operai scesero in sciopero. Una durissima repressione poliziesca piegò dapprima i siciliani, poi i calabresi, che sotto il fucile  puntato ripresero il lavoro. Solo i piemontesi resistevano. Clovis, che aveva 16  anni, si mise al loro fianco. Nel 1903, a Ginevra, i muratori piemontesi e savoiardi esigevano l'applicazione della giornata di dieci ore (60 ore settimanali), la soppressione del lavoro domenicale e dell'obbligo di alloggiare dove voleva l'imprenditore. Volevano anche un aumento di 2 centesimi all'ora: i muratori guadagnavano 50 centesimi orari, i manovali 45 e i porta-mortai 30. Al rifiuto padronale segui uno sciopero  durissimo, con arresti di militanti ed espulsioni, dal 2 luglio alla fine di settembre. Una nuova sconfitta. Ma i lavori rimasero sospesi a lungo, e lo sciopero costò caro anche ai padroni. La situazione andò avanti cosi fino allo agosto 1914, data dell'inizio del grande massacro che provocò la sospensione dei lavori e la mobilitazione generale. A Vouvry, amministrata da oltre mezzo secolo da uomini fedeli alle idee della rivoluzione del 1848, isola laica in un paese a maggioranza clericale, Pignat partecipa a queste lotte ma affina nel contempo il suo spirito di libero pensatore con letture dei classici federalisti e libertari. Si sposerà, avrà tre figli, diverrà il dirigente sindacale più amato della zona, ma rimarrà sempre un uomo semplice, intelligente, coraggioso, teorico e praticante dell'azione diretta, continuamente  immerso in scioperi «selvaggi». Conosce  Panait Istrati, lo scrittore popolare rumeno autore di Codine e Verso l'altra fiamma, rifugiato per qualche tempo  al villaggio e diventa suo amico. Nel 1906 il movimento anarco-sindacalista è particolarmente attivo nella vicina Francia sotto l'impulso, tra gli altri, di Emile Pouget e del suo giornale "Le Père Peinard": è l'anno in cui la CGT lancia una perentoria parola d'ordine d'azione diretta: «Dal 1° maggio, lavoreremo soltanto otto ore al giorno». Era la vecchia rivendicazione «dei 3 x 8» (otto ore di lavoro, otto di riposo, otto di tempo libero) avanzata dai sindacati americani e che già aveva portato alla repressione dei «martiri di Chicago» (1886-7). I sindacati europei avevano deciso che a partire dal 1888 la giornata del 10 maggio sarebbe stata consacrata ogni  anno, in memoria di questi martiri, a manifestazioni internazionali in favore delle otto ore e del progresso sociale. P in questo clima che Clovis Pignat matura la sua « vocazione». Per campare, fa mille mestieri: dalla vetreria passa alla fabbricazione delle pietre sintetiche per orologeria; è manovale di cantiere, taglialegna, segatore di assi. Lavora in una fabbrica di calce a 32 centesimi l'ora. Chiede un aumento, ma resta solo. Come tutti i giovani militanti d'avanguardia, deve andare lontano, perché nessuno gli dà più lavoro. 



Pensieri - Saito Kohei

Ma il problema è che alcune persone – o il capitalismo, se preferite – sostengono che possiamo risolvere la crisi climatica con la tecnologia e quindi la tecnologia sarebbe una condizione sufficiente per risolvere il problema. Non sono d'accordo. Il capitalismo, ad esempio, produrrà veicoli elettrici più numerosi e grandi a scopo di profitto, e richiederà più pannelli solari e turbine eoliche. Questo è un modo semplicemente insufficiente per combattere il cambiamento climatico. Sembra attraente per le persone nell'UE o in Giappone perché vogliamo vivere come facciamo oggi anche in futuro, ma il problema è che questo tipo di massiccia produzione e consumo nel nord del mondo, per il bene della crescita, rafforzerà l'imperialismo ecologico coloniale - e quindi il dominio - sulle persone e sull'ambiente nel sud del mondo. Penso quindi che dobbiamo adottare un modo di vivere molto diverso, che chiamo decrescita.

La bicicletta, invece, è low-tech, esiste da più di duecento anni, puoi ripararla da solo, è superecologica, non è costosa e non uccide persone. Possiamo quindi reimmaginare la bicicletta come una tecnologia conviviale nel senso usato da Ivan Illich. Io chiamo questo tipo di tecnologia aperta, in opposizione alla tecnologia chiusa preferita dal capitalismo, che chiude tutte le informazioni, isola dalle altre persone e ci aliena dalla natura.

In una vera democrazia dovremmo essere in grado di riflettere e decidere insieme cosa conta per noi come collettività e per noi stessi. Ma il capitalismo rende semplicemente impossibile una simile riflessione. Quindi penso che per raggiungere una società veramente democratica sia indispensabile superare il capitalismo.

Immaginare una fabbrica socialmente integrata a basso impatto ambientale, in grado di proteggere l’occupazione e i diritti acquisiti nel tempo, e nella quale gli operai siano coinvolti nel processo decisionale. Nonostante mille avversità e l’incuria da parte delle istituzioni, questo tipo di discussione ha aperto una breccia nell’immaginario collettivo


Violenza e civiltà

La violenza è inerente alla cultura. La cultura viene imposta e conservata con la violenza e mette a disposizione degli uomini i mezzi della distruzione. Lungi dal trasformare il genere umano attraverso un progresso morale, la cultura moltiplica il potenziale della violenza, le fornisce opere e istituzioni, idee e giustificazioni.

La violenza è il destino della nostra specie. Ciò che cambia sono le forme, i luoghi e i tempi, l'efficienza tecnica, la cornice istituzionale e lo scopo legittimante. Questo mutamento formale tuttavia non è uno sviluppo lineare, finalizzato e cumulativo. Assomiglia piuttosto a un andare e venire, a un costante saliscendi. Per breve tempo monta l'indignazione per i misfatti, ma presto scende nuovamente al livello usuale.



 

giovedì 16 gennaio 2025

L’Anarchia nel XX secolo – Parte LI

1948 

15-17 maggio - A Parigi, conferenza internazionale anarchica. La Federazione Anarchica Italiana è rappresentata da Giovanna Berneri e Cesare Zacaria.

1949 

10 giugno - Si svolge a Parigi, in una sala del Palais de la Mutualité, la prima riunione dei «lettori» della rivista "Socialisme ou Barbarie - Organe de Critique et d'Orientation Révolutionnaire", della quale era uscito in marzo il primo fascicolo. Sono presenti circa quaranta persone, dissidenti trotzkisti, rappresentanti della Gauche Communiste  Internationaliste, bordighisti del gruppo Internationalisme, anarco-sindacalisti e vari militanti delle organizzazioni di massa del movimento operaio. Alcuni di loro hanno partecipato all'insurrezione antitedesca dell'agosto 1944 e si erano battuti «senza alcuna illusione sul carattere della Liberazione, al solo fine di partecipare a una lotta operaia», come scriverà la rivista (n. 9). Dal dibattito emerge l'urgenza di una definizione dei compiti di un'organizzazione rivoluzionaria. Pierre Chaulieu (primo pseudonimo di Cornelius Castoriadis), un animatore della rivista che successivamente assumerà lo pseudonimo di Paul Cardan e, col Maggio '68, quello di J.-M.Coudray, afferma che la «burocratizzazione del movimento operaio non è più un problema soggettivo: la burocrazia è ormai una classe ancorata all'economia... pur rappresentando in rapporto alla società capitalistica un immenso accrescimento dello sfruttamento, la società "manageriale" è fortemente reazionaria sul piano economico: la burocrazia non ha alcuna ragione di sviluppare le forze produttive e il suo potere mondiale, pronosticato da Burnham, porterà a una regressione ancora più profonda della regressione feudale». Il proletariato quindi deve impadronirsi del meccanismo economico-politico e gestirlo per salvare se stesso e la società

tutta dalla barbarie. In tal modo si giustifica il nome della rivista, che riprende il programma politico di Rosa Luxemburg: se il proletariato non fermerà la mano al capitalismo, questo trascinerà con sé l'umanità nella sua caduta nella barbarie. Trent'anni dopo la morte della Luxemburg, il fenomeno della burocratizzazione del movimento operaio - che già lei aveva visto e denunciato nella socialdemocrazia tedesca - ha assunto sotto le vesti dello stalinismo proporzioni e connotati ancora più «feudali». Sul problema centrale della definizione del rapporto spontaneità-organizzazione e avanguardia-massa, si svilupperà per tutti gli anni cinquanta, con sfumature diverse, il dibattito interno alla rivista, che nelle giornate del Maggio '68 diverrà oggetto di un gigantesco dibattito collettivo teorico-pratico. A livello internazionale "Socialisme ou Barbarie" cerca di unificare varie minoranze di sinistra che oltre alle posizioni già elencate come presenti alla riunione del 10 giugno vanno dal gruppo anarco-sindacalista americano che pubblica  "Corrispondence" al gruppo olandese Spartacos vicino a Pannekoek, ai gruppi clandestini spagnoli, alla rivista italiana "Prometeo", alla formazione neo-socialista italiana di Unità Proletaria, a "L'impulso", organo dei GAAP che, come la Fédération Communiste Libertaire, «rappresentano una tendenza nuova affermatasi all'interno del vecchio movimento anarchico» ("Socialisme ou Barbarie " n. 15/16). 

8 novembre - Un gruppo di anarchici assalta a colpi di bombe a mano il consolato spagnolo di Genova. Vengono arrestati Eugenio De Lucchi, Gaetano Busico e Gaspare Mancuso, che saranno liberati un anno dopo grazie a un condono. 

Dicembre - A Parigi, congresso internazionale anarchico. Rappresenta la Federazione Anarchica Italiana Ugo Fedeli, vecchio militante nativo di Arezzo, segretario del Consiglio nazionale della FAI e attento storico del movimento libertario. 



CIÒ CHE VERRÀ - Michael Strunge

Ciò che verrà

sono monti in fiamme di voglia di vivere

e uccelli che canteranno con voce sottile e forte

la resurrezione della terra.

Ciò che verrà

sono tuoni di voci

gridate sugli abissi della città, un tempo grondanti veleno,

con la forza del ronzio di tutti i sensi:


«Noi conquistiamo di nuovo il nostro pianeta

rompiamo le immagini di noi nei rigidi elaboratori elettronici

di cemento.

Siamo il nuovo popolo

cantiamo le nostre anime

cosicché la mediocrità degli ingannatori e dei potenti

finirà in pezzi e in angoscia.

Noi siamo la nuova chiarezza

conquistata nella lotta contro le macchine

noi siamo la nuova forza creativa

che crea bellezza ed eternità

dalle rovine del vecchio

nella tecnologia, nella natura

nella scienza, nell’arte

nell’accordo…

(nella città, nello spazio!)»


Ciò che verrà

sono vittoria e saggezza

conquistate col canto del bambino

sul segnale elettrico del fiore.


Ciò che verrà

è il nuovo/vecchio

l’estraneo/evidente/sconosciuto

la consapevolezza della coesione del tutto

trovata nell’amicizia e nelle parole

tra le stelle e il popolo del mondo.


LA RAGIONE

"La ragione è l'utilizzazione di una grande documentazione generale con la creazione di nuove vie che prolungano la realtà al di là del presente, costruendo mentalmente dall'esperienza vissuta per conoscere il termine finale e modificare così l'azione presente per ottenere di modificare questo fine. Il sapere si divide nettamente in due parti: da una parte le conoscenze obiettive, suscettibili di dimostrazioni sensibili e che possano determinare una mutua comprensione degli umani davanti all'evidenza dei fatti; dall'altra le conoscenze soggettive, strettamente limitate al sapere individuale. Le divergenze provengono, invariabilmente, dal miscuglio o dalla sostituzione, più o meno cosciente, di una delle due conoscenze con l'altra. Quanti ragionano male o sono in malafede, operano questa sostituzione e, credendo o facendo finta di credere di essere sempre sul terreno obiettivo e impersonale, argomentano al contrario soddisfacendo abbondantemente la loro logica personale, fonte di dispute senza limiti. Le persone non possono avvicinarsi gli uni agli altri che quando si tratta di punti in comune che interessano a tutti, e la ragione non può esercitarsi che su questi punti". Questa citazione, tratta dall'Enciclopedia Anarchica, definisce benissimo il razionalismo scientifico comune a tutte le famiglie socialiste, nella loro cura di eliminare la metafisica della ragione, di cui la borghesia ha usato a suo vantaggio. 


giovedì 9 gennaio 2025

L’Anarchia nel XX secolo – Parte L

1946 

Marzo - L'Unione Spartaco e dissidenti della FAI danno vita alla Federazione libertaria italiana. Il giornale "L'Internazionale" diventa il suo organo. La FU I confluirà, dopo la scissione di Palazzo Barberini (rottura tra Saragat e Nenni), nel Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, saragattiano, di tendenza filo-occidentale. 

1947 

17 novembre - Muore esule al Messico Victor Serge (nome di battaglia di Viktor Kibalcic), nato nel 1890 a Bruxelles da famiglia russo-polacca (il padre era uno studioso anti-zarista fuggito in Occidente, la madre, di piccola nobiltà polacca, aveva abbandonato   la vita borghese di Pietroburgo per andare a studiare a Ginevra). Il piccolo Victor aveva peregrinato coi genitori sulle vie del mondo tra  Londra, Parigi, la Svizzera e il Belgio. Aveva conosciuto la fame nella malinconica via di Whitechapel, luogo d'incontro londinese degli anarchici e dei rivoluzionari russi, nella Parigi della cosiddetta belle époque, in un sobborgo di minatori a Liegi. Il suo fratello minore mori di fame in Belgio; Serge si salvò perché il padre ottenne la nomina all'Istituto di anatomia dell'Università di Bruxelles. In una strada provinciale di Bruxelles attaccò briga e fece conoscenza con un ragazzino occhialuto che morirà sulla ghigliottina a vent'anni, coinvolto nei misfatti della banda Bonnot: Raymond Callemin, noto alle cronache criminali del 1912-13 come Raymond-la-scienza per la sua passione scientista di marca positivista. Raymond è allora un ragazzo che campa facendo tutti i mestieri: assieme i due scoprono il mondo delle letture, delle evasioni, e più avanti, della lotta di classe, delle battaglie di strada, delle viltà sindacaliste e della rivolta. A Parigi Victor, metà operaio metà intellettuale, diventa un rivoluzionario, Raymond dapprima un anarchico individualista, poi un bandito. Si lasciano, ma quando la banda  Bonnot  viene sgominata, anche Serge deve farsi 5 anni di carcere per le idee anarchiche che professa. Dal «mondo senza evasione possibile» del 1906-1912 Serge ha la forza di uscire trovando una ragione di vivere: la vittoria della rivoluzione. Scarcerato, è a Barcellona nel 1917; aderisce alla CNT, adotta il nome di Victor Serge, si batte nel Comité Obrero, vive l'angoscia e l'entusiasmo della guerra, del dopoguerra e dell'attesa del nuovo scatenata in Spagna e nel mondo dalla rivoluzione russa. Sconfitta l'insurrezione anarchica, internato in Francia, raggiunge Pietrogrado nel gennaio del 1919, aderisce al comunismo senza rinunciare del tutto alle sue  intime convinzioni libertarie, combatte per l'edificazione del socialismo accanto a Lenin, Zinoviev, Trotzki di cui condivide la sorte dopo la morte di Lenin. Vive al fianco del vecchio  rivoluzionario gli anni della rivoluzione nel vicolo cieco dal 1926 al 1928, lottando con l'opposizione di sinistra, trotzkista e operaia, contro la dittatura burocratica di Stalin. Vive dal 1928 al 1933 gli anni di resistenza alla controrivoluzione staliniana, le provocazioni poliziesche e lo strangolamento  dell'Opposizione. Arrestato nel 1933, deportato in  Siberia, viene liberato nel 1935 per intervento di Salvemini, di Romain Rolland e di altri progressisti riuniti in un congresso di scrittori. Deportato in Occidente, ritrova la Parigi delle lotte giovanili. Boicottato dai comunisti, per campare fa il correttore di bozze: è un operaio della penna, come in gioventù. Si dedica alla lotta instancabile contro il fascismo e lo stalinismo; dopo l'invasione della Francia da parte dell'esercito hitleriano, riesce (1941) a fuggire al Messico. Nato politicamente nell'anarco-sindacalismo, Serge dal   bolscevismo ritorna all'anarco-sindacalismo. Durante l'inverno 1937-38  lui, Max Eastman, Boris Souvarine, Ciliga e altri ex comunisti  e filo anarchici sollevarono la questione della responsabilità di Trotzki nella repressione  di Kronstadt nel 1921. Fu un tentativo di scoprire dove e quando esattamente si era manifestata  nel  bolscevismo la malattia mortale che aveva dato origine allo stalinismo. Anche Serge rimprovera a Trotzki di non avere rotto con il bolscevismo;  ma conserva del grande leader rivoluzionario un ricordo rispettoso che lo indurrà a collaborare tra il 1942 e il 1946 con Natalia Sedova  (vedova di Trotzki assassinato da un sicario staliniano nel 1940) alla stesura di Vita e morte di Trotzki (Parigi 1951). Oltre ad articoli e saggi politici, ha pubblicato numerosi romanzi, tra cui Anni spietati, e le importanti opere di carattere politico Gli anarchici e l'esperienza della rivoluzione russa, Memorie di un rivoluzionario 1901-1941 e L'anno primo della rivoluzione  russa



SHAPES OF THINGS - Yardbirds

Le forme delle cose davanti ai miei occhi

Insegnami a disprezzare

Il tempo renderà l’uomo più saggio?

Qui nel mio guscio solitario

I miei occhi fanno male al mio cervello

Ma sembrerà uguale


(Vieni domani), sarò più maturo

(Vieni domani), forse un soldato

(Vieni domani), potrei essere più coraggioso di oggi


Ora gli alberi sono quasi verdi

Ma ci saranno ancora

Quando il tempo e la marea saranno passati

Ragazzo nelle tue mani effimere

Per favore non distruggere queste terre

Non le trasformare in deserti


(Vieni domani), sarò più maturo

(Vieni domani), forse un soldato

(Vieni domani), potrei essere più coraggioso di oggi


Spero di trovare presto

Un seme nella mia mente

Che non disonorerà la mia razza



Come far cadere il nemico? di Bertolt Brecht

Compagni, 

pur senza voler dire nulla di particolarmente nuovo, vorrei dire qualcosa a proposito della lotta contro le forze che oggi intendono soffocare nel sangue e nello sterco la cultura occidentale o quel tanto di cultura che è residuata ad un secolo di sfruttamento. Vorrei attirare la vostra attenzione su di un unico punto sul quale, secondo me, è necessaria la massima chiarezza se si vuole combattere quelle forze efficacemente e soprattutto fino in fondo. Agli scrittori che in persona propria o altrui sperimentano le atrocità fasciste e ne sono atterriti, l’esperienza e il terrore non conferiscono necessariamente la capacità di combatterle. Taluno può pensare che basti descriverle, quelle atrocità, soprattutto se a descriverle è un grande talento letterario ed una collera autentica. Invero simili descrizioni sono molto importanti. Si compiono atrocità. E questo non deve essere. Si percuotono esseri umani. E non deve accadere. Perché continuare a discutere? Ci si levi e si fermi il braccio del seviziatore. Compagni, bisogna discutere. 

Ci leveremo, forse. Non è troppo difficile. Ma poi viene il momento di fermare quelle braccia. E questo è già più difficile. La collera c’è, il nemico è individuato. Ma come farlo cadere? Lo scrittore può dire: il mio compito è quello di denunciare l’ingiustizia, tocca al lettore fare il resto. Ma in questo caso lo scrittore compirà una curiosa esperienza. Si avvedrà che la collera, come pure la compassione, è qualcosa di quantitativo, qualcosa che esiste e può manifestarsi in una o in altra quantità. E, peggio, si manifesta nella misura in cui è necessaria. Alcuni compagni mi hanno detto: quando per la prima volta abbiamo fatto sapere che i nostri amici venivano uccisi, si levò un grido di orrore e un aiuto grande. Cento erano gli uccisi. Ma quando gli uccisi furono mille e l’eccidio non ebbe fine sopraggiunse il silenzio e solo scarso fu l’aiuto. È così: «Quando i delitti si moltiplicano, diventano invisibili. Quando le sofferenze diventano insopportabili non si odono più grida. Si uccide un uomo: e chi guarda perde le forze. È naturale sia così. Quando i crimini vengono come la pioggia, nessuno più grida: basta». 

Dunque è così. Come comportarsi, allora? Non c’è modo di impedire all’uomo di distrarsi dalle atrocità? Perché se ne distrae? Se ne distrae quando non scorge nessuna possibilità di intervenire. L’uomo non si ferma accanto al dolore di un altro uomo se non può dargli aiuto. Ci si può riparare da un colpo se si sa quando cade, dove cade e perché cade, per quale scopo. E se ci si può riparare dal colpo, se ve ne sia una possibilità qualsiasi, anche minima, allora si può avere compassione della vittima. E quella compassione la si può provare anche se quella possibilità non c’è, ma non per molto tempo e comunque non per tutto il tempo in cui i colpi continuano ad abbattersi sulla vittima. Dunque: perché cade il colpo? Perché si butta a mare la cultura come fosse zavorra (vale a dire quel tanto di cultura che ci è rimasto), perché la vita di milioni di uomini, della maggior parte degli uomini, è stata così immiserita, spogliata e in parte o del tutto annientata? 

Alcuni di noi hanno una risposta a questa domanda. Rispondono così: per brutalità. Credono di assistere in una sempre più ampia parte della umanità ad una spaventosa eruzione, ad un pauroso processo di inconoscibile origine, che improvvisamente compare, che forse – si spera – altrettanto improvvisamente sparirà; alla emersione impetuosa di barbarici istinti bestiali lungamente repressi o assopiti. 

Quanti rispondono così sanno naturalmente che una risposta simile fa poca strada. E sentono da soli che alla brutalità non si può conferire l’aspetto di una forza bestiale, di invincibili potenze infernali. 

Parlano quindi di imperfetta educazione della stirpe umana. Qualcosa che è stato trascurato o che, nella fretta, non è stato compiuto. È necessario recuperarlo. Alla brutalità dobbiamo opporre il bene. Dobbiamo fare appello alle grandi parole, allo scongiuro che già altre volte è stato utile, ai concetti intramontabili – l’amore per la libertà, la dignità, la giustizia – la cui efficacia è storicamente garantita. Ed eccoli pronunciare il grande scongiuro. Che cosa succede? All’accusa di essere brutale, il fascismo risponde con il fanatico elogio della brutalità. Imputato di essere fanatico, risponde con l’elogio del fanatismo. Convinto di lesa ragione, mette allegramente sotto processo la ragione medesima. E poi anche il fascismo trova che l’educazione è stata imperfetta. Si ripromette grandi cose dalla possibilità di influenzare le menti e di rafforzare i cuori... Alla brutalità dei suoi sotterranei adibiti alla tortura aggiunge quella delle scuole, dei giornali, dei teatri. Educa tutta la nazione e tutto il giorno. Non ha molto da offrire alla grande maggioranza, quindi ha molto da educare. Non dà da mangiare e quindi deve educare all’autodisciplina. Non può metter ordine nella sua produzione e ha bisogno di guerre: deve quindi educare al coraggio fisico. Ha bisogno di vittime e quindi deve educare al sacrificio. Anche questi sono ideali, mete richieste agli uomini; e alcuni di questi persino alti ideali, alte mete. Ora, noi sappiamo bene a che cosa servono questi ideali, chi è che educa e a chi quella educazione debba servire: non a coloro che sono stati educati. E i nostri ideali? Anche quelli di noi che nella brutalità, nella barbarie, scorgono il male maggiore parlano, come abbiamo veduto, soltanto di educazione, soltanto di interventi sullo spirito, comunque, di nessun altro genere di interventi. Parlano di educazione al bene. Ma il bene non verrà dall’esigenza di bene, di bene in qualsiasi circostanza, persino nelle peggiori circostanze, così come la brutalità non è venuta dalla brutalità. 

Personalmente non credo alla brutalità per la brutalità. Bisogna proteggere l’umanità dall’accusa di essere per la brutalità indipendentemente dal fatto che essa sia un buon affare. È una spiritosa distorsione, quella del mio amico Feuchtwanger quando afferma che la volgarità vien prima dell’interesse personale. Ha torto. La brutalità non viene dalla brutalità ma dagli affari che senza di essa non si possono più fare. 

Nel piccolo paese dal quale vengo c’è una situazione meno temibile che in molti altri paesi. Ma ogni settimana vi si distruggono 5.000 capi di bestiame della qualità migliore. È una brutta cosa, ma non è manifestazione d’una improvvisa sete di sangue. Se così fosse, la cosa sarebbe meno brutta. La distruzione di bestiame e la distruzione di cultura non sono originate da istinti barbarici. In entrambi i casi si distrugge una parte di beni non senza fatica prodotti, perché sono divenuti un peso. Di fronte alla fame che impera in tutti e cinque i continenti misure simili sono indubbiamente dei crimini, ma non hanno nulla a che fare con le tendenze malvagie, assolutamente. Nella maggior parte dei paesi del mondo ci sono oggi situazioni sociali tali che crimini di ogni specie vengono altamente premiati mentre l’esercizio della virtù costa molto caro. «L’uomo buono è indifeso e l’indifeso è bastonato a morte. Ma con la brutalità non può avere tutto. La volgarità programma se stessa per diecimila anni. Il bene ha bisogno invece di una guardia del corpo; e non ne trova». 

Guardiamoci dal chiederla agli uomini! Facciamo in modo, anche noi, di non chiedere nulla di impossibile! Non esponiamoci a lanciare anche noi appelli all’umanità, perché faccia cose sovrumane e cioè sopporti con l’esercizio di elevate virtù situazioni terribili che certo possono essere mutate ma che poi non lo saranno! Non parliamo soltanto per la cultura! 

Si abbia pietà della cultura ma prima di tutto si abbia pietà degli uomini! La cultura è salva quando gli uomini sono salvi. 

Non lasciamoci trascinare alla affermazione che gli uomini esistano per la cultura e non la cultura per gli uomini! Questo ricorderebbe troppo il costume dei grandi mercati dove gli uomini esistono per il bestiame da macello e non il bestiame da macello per gli uomini! 

Compagni, pensiamo alla radice del male! 

Un grande insegnamento, che sul nostro ancor molto giovane pianeta penetra sempre più grandi masse di uomini, afferma che la radice di tutti i mali sono i nostri rapporti di proprietà. Questo insegnamento, semplice come tutti i grandi insegnamenti, è penetrato in quelle masse d’uomini che più soffrono degli attuali rapporti di proprietà e dei barbari metodi con i quali quei rapporti vengono difesi. È messo in pratica in un paese che rappresenta un sesto della superficie terrestre, dove gli oppressi e i nullatenenti hanno preso il potere. Là non c’è più distruzione di generi alimentari né distruzione di cultura. 

Molti di noi scrittori che hanno sperimentato la crudeltà del fascismo e ne sono inorriditi non hanno ancora capito questo insegnamento, non hanno ancora scoperto la radice della brutalità che li atterrisce. Corrono sempre il rischio di considerare le crudeltà del fascismo come crudeltà non necessarie. Tengono ai rapporti di proprietà perché credono che per difenderli non siano necessarie le crudeltà del fascismo. Ma per mantenere i rapporti di proprietà esistenti quelle crudeltà sono necessarie. Con questo i fascisti non mentiscono. Con questo essi dicono la verità. Quelli fra i nostri amici che di fronte alle crudeltà del fascismo sono atterriti quanto noi ma vogliono mantenere immutati i rapporti di proprietà o rimangono indifferenti di fronte alla loro conservazione non possono condurre vigorosamente e abbastanza a lungo la lotta contro la barbarie dilagante perché non possono suggerire né promuovere le condizioni sociali che rendono superflua la barbarie. 

Quelli invece che cercando la radice del male si sono imbattuti nei rapporti di  proprietà, sono discesi sempre più profonda mente, attraverso un inferno di atrocità sempre più profonde, finché sono giunti là dove una piccola parte dell’umanità aveva ancorato il proprio spietato dominio. Essa lo ha ancorato in quella proprietà del singolo individuo che serve allo sfruttamento del prossimo e che viene difesa con le unghie e coi denti, a prezzo dell’abbandono di una cultura che non si offre più in sua difesa o che non ne è più capace, a prezzo dell’abbandono puro e semplice di tutte le leggi della convivenza umana per le quali l’umanità tanto a lungo e con disperato coraggio ha combattuto. 

Compagni, parliamo dei rapporti di proprietà! 

Questo volevo dire a proposito della lotta contro la dilagante barbarie perché venga detto anche qui oppure perché a dirlo sia stato anche io.


giovedì 2 gennaio 2025

L’Anarchia nel XX secolo – Parte XLIX

1945 

23-25 giugno - A Milano, convegno interregionale della Federazione Comunista libertaria Alta Italia, il primo raduno libertario nell'Italia settentrionale dopo la fine della seconda guerra mondiale. Ugo Fedeli e Germinal Concordia tengono le relazioni sui «postulati del comunismo libertario sul terreno politico, economico e sociale»; Gaetano Gervasio sull'«organizzazione sindacale e posizione degli anarchici di fronte al funzionamento delle Commissioni di fabbrica, in relazione alla gestione, alla produzione ed al consumo»; Luciano Pietropaolo sui «rapporti con i partiti sul terreno politico, sindacale e militare»; Alfonso Failla sul «congresso nazionale»; Mario Mantovani e Corrado Quaglino su «stampa e propaganda». Tra le risoluzioni approvate, quella sui rapporti con i CLN dice: «Il Convegno delle Federazioni Comuniste Libertarie Alta Italia: considerando che nel periodo cospirativo la presenza dei Comunisti libertari, sia nelle formazioni partigiane di montagne e città, come nel Comitato Liberazione Nazionale (CLN), ha impresso all'opera degli stessi un andamento più democratico e rivoluzionario; considerando che nonostante la caduta del fascismo, l'impalcatura capitalistica e monarchica - sostenuta dal Comando militare alleato - non è stata neppure intaccata, e che perciò la lotta antiborghese deve continuare più intensa sfruttando tutte le possibilità che si presentano; delibera di lasciare libertà d'azione alle Federazioni che   già hanno inviato dei compagni nel CLN con fini rivoluzionari. Incarica inoltre il Consiglio della Federazione Alta Italia di entrare in contatto col CLN Alta Italia, affinché sia assicurato il diritto ai nostri compagni di entrare in tutti quei Comitati ove il nostro ingresso sia ritenuto necessario ed utile ai fini del controllo e della preparazione rivoluzionaria.» 

15-19 settembre - Congresso nazionale di Carrara, alla presenza di delegazioni di tutta Italia, comprese la Sicilia e la Sardegna. Sandro Pertini, segretario del Partito Socialista di Unità Proletaria, porta l'adesione e il saluto del suo partito, affermando che tra socialisti e anarchici vi è affinità per l'uguale amore della libertà. Carlo Andreoni, direttore del periodico "Il Partigiano" da poco trasformatosi nell’Internazionale", reca il saluto dell'Unione Spartaco di Roma, e dichiara che il suo gruppo è vicino al movimento libertario sia per le idee sia per i metodi. Invia un fraterno saluto anche al Movimento Comunista d'Italia, formato da dissidenti del partito comunista. I delegati deliberano: l'esclusione di qualsiasi accordo permanente tra il movimento anarchico e i vari partiti politici e la massoneria; il rifiuto di ogni appoggio all'«illusione burocratica dei Consigli di gestione che tentano di far risorgere l'idea della collaborazione paritaria fra capitale e lavoro, che era il nocciolo del corporativismo fascista»; la costituzione di «Comitati di  soli lavoratori (manuali ed intellettuali associati) che preparino la volontà e la capacità per la gestione diretta delle singole aziende e nella piccola agricoltura ed industria mostrino in pratica i vantaggi dell'associazione agli artigiani ed ai coltivatori, mezzadri e affittuari e proprietari, senza centrali e senza burocrazie». La collaborazione con  i CLN è consentita solo quando sia «la genuina espressione della massa lavoratrice». Constatato che «l'agitazione per la Costituente è un altro tentativo dei politicanti per asservire il popolo lavoratore a nuove forme di Stato che saranno comunque nemiche», i delegati rifiutano ogni collaborazione alla campagna elettorale per la Costituente. Viene ribadita anche la necessità della lotta contro la Chiesa e in favore della libertà di coscienza, nonché della costituzione di un Comitato Sindacale che coordini l'opera dei Gruppi di difesa sindacalista. Infine i delegati deliberano la costituzione della «Federazione Anarchica Italiana» (FAI). 

Ottobre - Col ritorno degli esiliati si ricostituisce la Federazione anarchica nella Corea del sud. Il «Durruti coreano», il guerrigliero Kim-Jwa-Jin, dopo avere combattuto contro i giapponesi viene ucciso dai comunisti come Makhno. Il movimento anarchico si era sviluppato in Corea all'inizio degli anni 20: a Seul, nel 1920, fu fondata l'Associazione di mutuo soccorso operaio: nel '21, sempre a Seul, l'Associazione del movimento anarchico; nel 1923 la Federazione fraterna anarchica, da emigrati a Tokio; la Federazione della bandiera nera (Seul, 1925), la Federazione della vera fiducia (Taegue, 1925), l'Associazione dell'amicizia anarchica (Piong-Yang, 1927). Nel 1924 è fondata la Federazione anarchica dei coreani esiliati in Cina; nel 1930 la Federazione operaia di Dong-Hung a Tokio. 



MALCOM X – Spike Lee

Bandiera americana su tutto lo schermo. Le immagini del nero Rodney King massacrato a bastonate e calci dalla polizia californiana. Il vessillo che prende fuoco, s'infiamma, brucia, si  consuma, svanisce. Malcom X, storia della vita durata trentanove anni del leader nero che negli anni Sessanta  venne considerato predicatore della violenza in contrapposizione alla non-violenza di Martin Luther King. Il film è diviso in due parti. La prima parte è la storia, dagli anni della seconda guerra mondiale, d'un ragazzo nero bello e cattivo, elegante e delinquente: il ricordo delle persecuzioni razziste subite da bambino nella casa del padre, vetri spezzati fuoco spavento; i capelli crespi stirati e tinti di rosso (dal barbiere e amico Spike Lee), gli abiti colorati e vistosi da ruffiano, l'allegria della giovinezza; le serate a ballare;  la felicitià revanscista per le vittorie del campione nero Joe Louis; l'amante bianca, l'alba con lei sullla spiaggia alla musica struggente di My Prayer; la malavita a New York, scommesse clandestine, smoking, cocaina, truffa, night-club, rapine nelle case dei ricchi fino all'arresto, alla prigione. La seconda inizia con la conversione in prigione di Malcom x alla dottrina islamica, la devozione e più tardi il conflitto col Maestro e con il gruppo Nation of Islam, l'attenzione persecutoria della Cia, la crescita come predicatore religioso e leader politico, tutto 

diventa agiografia nobile, prende il sopravvento quella parola  didattica certo socialmente rilevante, essenziale per il pubblico nero. Assistiamo a Malcom X che guida il suo piccolo esercito musulmano disciplinato, efficiente, allarmante; lo scontro con le   buone volontà della sinistra bianca, «Cosa possiamo fare?», «Nulla»; la sequenza dell'attentato, con la tristezza della premonizione di morte, i segni della fine, il caos della sparatoria tra sedie rovesciate e gente terrorizzata immagini in bianco e nero della cronaca reale arricchiscono e concludono il film.

La pellicola, nonostante tutte le controversie, non è una propaganda politica, né un’indagine sociologica. Da subito Malcolm X si dichiara come “Non democratico, non socialista, non repubblicano”, ma prima di tutto un uomo di colore e in quanto uomo di colore, impegnato nella lotta per i diritti della gente come lui. Le parole di Malcolm X, i suoi discorsi incendiari riportati quasi testualmente nel film, sono capaci di travalicare i confini statunitensi e sottolineano quale sia il lascito più importante alle generazioni a venire: non vergognarsi di essere nati neri, non fingere di essere quello che non si è per farsi accettare, nel quadro di una nuova assertività morale con se stessi, prima che con il mondo. Da qui il desiderio di rinascita, come chiedeva idealmente di fare a tutti gli afroamericani.



Nella Giacomelli nel Casellario Politico centrale

Giacomelli Nella fu Paolo e Baggi Maria nata a Lodi li 2 luglio 1873 qui residente, maestra elementare, nubile, pseudonimo Ireos. Anarchica Riscuote buona fama, è di carattere altero, discretamente educata, molto intelligente ed abbastanza colta. Ha la patente di maestra di grado superiore e come tale insegnò dal 1892 al 1897 a Maslianico ed a Cocquio da dove si licenziò per divergenze col municipio. Non ha titoli accademici. È lavoratrice fiacca e ritrae i mezzi di sostentamento dal lavoro od altrimenti ricorrendo alla madre od alla sorella Fede pure maestra. Fa vita ritirata, ma ama la compagnia di affiliati a partiti sovversivi. Nei suoi doveri verso la famiglia si comporta mediocremente essendo stata causa di dispiaceri specialmente per avere nel maggio 1898 qui tentato di suicidarsi ed avendo sempre preferito vivere lontana dai suoi. Non consta abbia coperto cariche amministrative o politiche. È anarchica convinta e precedentemente appartenne al partito socialista tenendosi in corrispondenza coll’On. Prampolini, col Dell’Avalle Carlo, col Suzzani Giò Batta di Lodi, col quale ebbe una lunga relazione amorosa, ed altri. alla setta limitatamente però nel Regno e più precisamente a Milano. È qui in relazione coi principali settari e col cieco Gavilli Giovanni da Firenze, ma non risulta appartenga od abbia appartenuto ad associazioni di sorta. È collaboratrice della rivista letteraria “La vita internazionale” del giornale socialista “Sorgete” di Lodi ove utimamente venne pubblicato un suo articolo “pro anarchici”, e fa parte della redazione del giornale anarchico che qui si pubblica “il Grido della Folla”. Era abbonata ai giornali “La Lotta” di Milano e l’Avanti di Roma e riceve giornali ed opuscoli repubblicani socialisti ed anarchici. È propagandista efficace e ne ritrae discreto profitto nella classe operaia. Sa tenere conferenze e ne tenne nel febbraio 98 al Circolo Socialista di via Prina “sul lavoro delle donne e dei fanciulli” ed in un esercizio di Foro Bonaparte 47 ai ferrovieri, nonché in diverse epoche a Lodi. Verso le Autorità si mantiene indifferente. Assiste a riunioni socialiste ed anarchiche e specialmente ultimamente alle conferenze del Gavilli. Da poco si è stabilita in questa città nella speranza di trovare occupazione . Con sentenza 3 maggio 1898 del Tribunale di Varese fu assolta per non provata reità dal delitto d’ingiurie in riparazione di altra sentenza di quella Pretura in data 16 marzo stesso anno. Non fu proposta per la giudiziale ammonizione, né pel domicilio coatto.

Riservata del Commissario Civile della Regia Prefettura di Milano all’On. Ministero dell’Interno Direzione Generale della Pubblica Sicurezza. ROMA, Milano 4/5/1916. Mi pregio informare codesto On. Ministero che con mia ordinanza del 30 aprile scorso coi poteri di cui all’articolo II del R. Decreto 25 maggio 1916 n. 674 ho munito di foglio di via obbligatorio per Lodi, per urgenti motivi di pubblica sicurezza, l’anarchica biografata Giacomelli Nella fu Paolo nativa di Lodi e qui residente, amante del noto anarchico schedato Prof. Ettore Molinari. Da una lettera intercettata dalla censura postale di Siena firmata col pseudonimo Ireos la Giacomelli risultava fra le più attive propagandiste della progettata manifestazione delle donne contro la guerra in occasione del “primo maggio”. Intanto il giorno stesso in cui fu emessa l’ordinanza, cioè il 30 aprile, la Giacomelli veniva arrestata per aver preso parte al tentativo di dimostrazione in piazza del Duomo. È stata denunciata quindi per contravvenzione all’articolo 3 del R. Decreto legge 23 maggio 1915. Contro la Giacomelli sono in corso anche indagini per accertare la sua responsabilità nella stampa e nella diffusione del noto manifesto clandestino per la dimostrazione contro il primo maggio. Anche questi fatti dimostrano come non sia assolutamente prudente l’ulteriore permanenza in questa città della Giacomelli, negli attuali momenti.