Translate

giovedì 6 febbraio 2025

LO SCIACALLO DI NAHUELTORO – Miguel Littin

Ricostruzione fedele di una vicenda reale accaduta in Cile nel 1960, che ebbe per protagonista un contadino analfabeta, José del Carmen Valenzuela Torres, poi soprannominato lo sciacallo di Nahueltoro» per i suoi crimini. Dopo essere stato ospite di una vedova, Rosa, di cui diviene l'amante, José un giorno la uccide in preda all'alcool mentre tenta di rubarle la pensione. Anche i cinque figli di Rosa subiscono la stessa sorte. La fuga, e ancora un vagabondaggio  che sarà di breve durata: catturato, viene condannato alla fucilazione. Losciacallo di Nahueltoro è un'opera «didattica», nella sua più alta accezione, su come si semini nella coscienza umana l'idea di un massacro, come germogli questa idea e diventi operante e produttiva, e come poi questa violenza sia negata dallo stesso sistema che la produce, per non essere smascherato, con una esecuzione «esemplare». Il taglio didattico  scelto da Littin esclude ogni approccio moralistico al tema, e il linguaggio, che pretende d'essere scarno e rigoroso, fa trapassare non senza scosse, il realismo nella crudezza della metafora politico-sociale: Littin smonta gli avvenimenti e il «personaggio» di José. Attraverso una narrazione spezzata in «capitoli» che segnano la  parabola di José con accenti che rifiutano ogni adesione sentimentale alla vicenda, Littin esprime in prima istanza il grande delitto che lo Stato repressivo commette contro l'uomo concreto, un delitto di classe: lo «sciacallo» ci appare già morto prima di essere giustiziato, ironia della sorte, dopo che un barlume di coscienza cominciava a nascere nella sua «mostruosa» esistenza ormai in via di trasformazione, o meglio, come suggerisce l'autore, in via di «addomesticamento»: José, in tre anni di carcere, ha già imparato a leggere, a vestirsi, a riconoscere i valori della religione e della patria, a pentirsi e a pagare per la sua «diseducazione» sociale e civile, e a comprendere persino le colpe dell'alcolismo. Egli esprime l'acquisita tragica coscienza sociale nell'amara risposta al giudice che gli chiede le «ragioni» dell'infanticidio: «Perché non soffrissero, i poveretti». 

Ci siamo fatti avanti per realizzare film  con idee molto chiare, solo con poca pellicola, accantonando i moduli abituali della produzione cinematografica. E abbiamo potuto constatare che questa maniera di risolvere i problemi della produzione materiale risolveva contemporaneamente un certo numero di problemi politici inerenti al contenuto del film. Perché sappiamo che non è assolutamente possibile fare un cinema politicamente giusto se sul piano economico la produzione poggia sul compromesso. (Miguel Littin, in «Cahiers du Cinema» n. 251-252, luglio-agosto 1974)



Nessun commento:

Posta un commento